Proponiamo in traduzione l’intervento di Johan Cruijff in occasione dei 70 anni di Franz Beckenbauer, pubblicato sul numero 166 di 11 Freunde nel settembre 2015, a cura di Christoph Biermann.
Quando si fa il nome di Franz Beckenbauer, la prima cosa che mi viene in mente è che lo chiamano “il Kaiser”. Già questo dice fin dall’inizio: qui si ha a che fare con una persona del tutto speciale. E siccome è davvero così, sono felice di poter affermare che noi due siamo ottimi amici. Quando questa amicizia sia cominciata, non so più dirlo con esattezza. Ma già ai nostri tempi come giocatori, avevamo l’uno per l’altro un grande rispetto quasi istintivo, che è diventato naturalmente amicizia. Ci siamo visti spesso, perché io andavo a sciare a Kitzbühel, dove allora Franz già viveva. Abbiamo fatto sport insieme, la sera andavamo a cena e nel corso degli anni questo legame è diventato sempre più forte. Anche se non ci vediamo più tanto spesso, ci siamo sempre l’uno per l’altro, quando succede qualcosa di importante.
È sorprendente che Franz e io ci siamo affrontati soltanto in due grandi partite. Nel 1973 con l’Ajax abbiamo vinto 4-0 con il Bayern Monaco in Coppa dei Campioni, il secondo incontro è stata la finale dl Mondiale 1974 fra Germania e Olanda. Questa partita ci unisce fino a oggi, perché è stata un evento decisivo per la vita di entrambi. Naturalmente lo è stata per Franz, che allora è diventato campione del Mondo. Ma anche per me, perché nonostante la sconfitta non siamo stati dimenticati. Suona strano che per il prestigio dell’Olanda nessuna partita sia stata importate come questa che abbiamo perso, mentre in realtà avremmo dovuto vincerla. Perché la nazionale tedesca migliore a quel tempo era quella che è diventata campione d’Europa nel 1972 – naturalmente con Franz Beckenbauer.
Se oggi i giovani mi chiedessero cosa abbia fatto questo Beckenbauer come calciatore, direi loro: il calcio si gioca con la testa e per farlo si usano le gambe. Per me la cosa più importante è sempre stata come ci si comporta in un determinato momento di una partita. Un giocatore davvero bravo non è quello che è capace di fare qualcosa di eccezionale e poi in altre situazioni prende le decisioni sbagliate. Franz al contrario sapeva sempre esattamente quando poteva passare la palla con l’interno del piede o quando doveva calciarla in tribuna. In questo è la testa che deve dare il giusto comando e Franz ha effettivamente fatto sempre tutto bene.
Ci si deve ricordare com’era allora il calcio. Nove giocatori di movimento sorvegliavano i loro diretti avversari e a Franz in quanto Libero spettava un compito particolare: doveva vedere tutto, e per tutto aveva la responsabilità. Doveva organizzare il lavoro di copertura ed era decisivo nel momento in cui il possesso palla cambiava. Ancora oggi resta centrale la domanda: cosa devo fare quando la mia squadra ha appena perso o riconquistato il pallone? Franz lo sapeva sempre! E che il suo gioco fosse così elegante, dipende dal fatto che la base del suo modo di giocare non erano la durezza o la forza, bensì l’intelligenza e la qualità tecnica. E il fatto che in campo lui ha sempre usato la testa.
Franz Beckenbauer era un difensore ed è diventato allenatore, io ero un attaccante e sono diventato allenatore e adesso aggiungiamo ancora Michel Platini, che era un centrocampista ed è diventato allenatore della nazionale francese. Abbiamo così tre giocatori, che vengono da differenti posizioni eppure hanno molti punti in comune. Per noi e per le nostre squadre volevamo avere il pallone, per un calcio che si basi sull’intelligenza. E che sia bello per le persone che vengono allo stadio.
Ma Franz Beckenbauer è sempre stato anche molto pragmatico. Come da giocatore ogni tanto buttava la palla in tribuna, così anche da allenatore si rendeva conto che non si può pretendere una cosa, se non si hanno i giocatori adatti. E se qualcosa non funziona, bisogna provare qualcos’altro.
Franz ha influenzato il calcio non solo come giocatore e allenatore, ma ha anche contribuito in modo decisivo a fare sì che il Bayern Monaco sviluppasse una particolare identità come società. È stato per 15 anni presidente di un club, la cui direzione fino a oggi tocca agli ex giocatori. Per questo motivo da loro non succedono cose tanto assurde come nelle squadre che hanno un proprietario ricco. Lì si va una volta a destra e una sinistra, si comprano e vendono giocatori senza valore. Il Bayern invece è stato per me un esempio di come dovrebbe essere. Quando ero all’Ajax alcuni anni fa, ho perfino cercato di copiare il modello Bayern. Perché solo chi ha giocato sa organizzare un club dal campo in su e non dalle stanze dei bottoni in giù.
Se mi chiedono cosa apprezzi di più in Franz, la risposta è semplice: lui è come è. Ciò significa che se nota qualcosa o gli passa qualcosa per la testa, lo dice apertamente. Siccome è quello che è, viene però anche criticato da molte persone. Ma in fondo anche questa è una cosa che ci unisce, perché lo sappiamo entrambi: la vita lassù al vertice è solitaria.