Primo: «Dite che sarò più ricco del presidente della Svizzera e forse è vero, ma lui potete eleggerlo di tanto in tanto, mentre avrete un solo me». Secondo: «Non mi servono nuovi acquisti, posso vincere il campionato con quelli che ho». Terzo: «Io sono un giocatore di calcio, non un uomo d’affari: tenetevi il vostro negozio». Capito chi era Alfred Schaffer? Un girovago del calcio allo stato nascente, che nella sua straordinaria carriera ha fatto tappa in tutti gli angoli d’Europa in cui stava succedendo qualcosa e in tutti si è fatto amare, per poi partire sempre verso un’altra avventura, in valigia la sua lingua tagliente e poco altro. Alles, was er tat, war spezial, diceva chi l’aveva visto giocare. Tutto quello che faceva era speciale, da qui il soprannome “Spezi”, perché lui non era come gli altri.
In un’epoca in cui dovevi essere provvisto di beni di fortuna per poterti permettere l’iscrizione in un club, lui inaugura la galleria dei ragazzini che passano dalla strada agli stadi più prestigiosi del mondo. Nel suo caso le strade sono quelle della Budapest primi Novecento: ha 8 anni quando riesce a unirsi a una vera squadra, che poi è quella del suo quartiere e si chiama Typographia – un esordio “sotto casa” che sembra anticipare i primi calci di Nils Liedholm nel suo Ferrovia. È la prima tappa di una serie di trasferimenti che dura quanto la sua stessa vita: Lipotvárosi, Ferencváros, BTK KAOE Budapest, Fövárosi e di nuovo Ferencváros, il tutto prima di compiere 18 anni, quando Schaffer approda al Tatabanya e per la prima volta si comincia a parlare di lui. Con la sua nuova squadra perde sì la finale di campionato contro il Ferencváros, ma segna in 45 minuti tutti e 3 i gol del 3-4 e impressiona per la sensibilità nel tocco di palla. Quando arriva a vent’anni ha già cambiato sette squadre e c’è bisogno di passare per l’ottava (il BAK) per poterlo finalmente vedere fermarsi nello stesso posto per più di qualche mese.
Succede all’MTK Budapest, probabilmente la miglior squadra d’Europa fra il 1914 e il 1919. Qui Schaffer trova un giovane allenatore inglese, che si è appena trasferito in Ungheria per evitare l’internamento a Vienna dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale: si chiama Jimmy Hogan e l’Ungheria è la seconda fermata della sua missione di evangelizzazione calcistica dell’Europa. Jimmy viene dal nord dell’Inghilterra, ha visto giocare gli scozzesi e ha concluso che il calcio è più divertente se i giocatori si passano la palla come fanno loro, piuttosto che se la scagliano via come gli inglesi. Solo che in patria non erano ancora pronti per queste idee e allora nel 1911, aveva accettato l’invito a Vienna del suo amico Hugo Meisl – che non è ancora l’allenatore del Wunderteam, ma parla un numero imprecisato di lingue e di calcio ne capisce già parecchio – per diventare il primo allenatore della storia del Wiener Amateur Sportverein, come ancora si chiamava l’Austria Vienna. La squadra non va oltre l’ottavo posto in campionato, ma fa innamorare gli appassionati per il calcio ragionato ed elegante che gioca, anche grazie alle moderne metodologie di allenamento studiate in collaborazione con l’amico Meisl.
È lui a suggerire a Jimmy il trasferimento all’MTK, dove ironia della sorte prende il posto di un allenatore scozzese, Robertson. La rosa che si trova a disposizione è composta da giocatori di altissimo livello: Braun, Orth, Schlosser, i fratelli Konrad e naturalmente Spezi Schaffer. Tutti loro diventeranno ambasciatori del calcio anglo-ungherese al di qua e al di là dell’Atlantico nei successivi trent’anni. Intanto Hogan dimostra che il suo gioco non è solo spettacolare conquistando quattro campionati e due coppe nazionali, trascinato dai gol di Schaffer, ben 89 in 150 partite. Pensando di ricompensarlo, il presidente dell’MTK, il milionario ed ex lottatore Arpad Brüll, gli affitta un negozio, attività piuttosto diffusa fra i calciatori in epoca pre-professionistica. Spezi non la prende bene: «Secondo voi Schaffer è un giocatore di calcio o un commerciante? È un giocatore di calcio e allora deve giocare e basta. Tenetevi il vostro negozio».
Non contento della sfuriata, fa la valigia e per la prima volta lascia l’Ungheria per andare a Norimberga. Un trasferimento che fa scalpore, anche perché solo qualche mese prima l’MTK aveva battuto 3-0 i bavaresi durante una tournée in Germania in cui i giocatori ungheresi erano vestiti talmente male che i tedeschi li avevano scambiati per dei senzatetto, tant’è che la prima cosa che fa il suo nuovo club è procurargli un guardaroba. Qualcuno dice anche che in realtà la scelta di lasciare Budapest fosse dettata dalla vicinanza di Schaffer ai comunisti di Bela Kun, che proprio nel 1919 era stato costretto a riparare all’estero dopo la caduta della Repubblica Sovietica d’Ungheria. Comunque siano andate le cose, per il Norimberga Spezi fu una benedizione: è lui a insegnare ai tedeschi i segreti del Donaufußball elaborato a Budapest, sua è la decisiva influenza sul giovane Hans Kalb, a detta degli esperti il miglior giocatore tedesco della sua generazione.
Improvvisamente diventa der Fußballkönig, il re del calcio. Il suo tiro potente spaventa a tal punto i portieri avversari che questi fanno festa quando per caso lui manda il pallone sopra la traversa: succede con Polensky, portiere del Fürth, che dopo un tiro fuori bersaglio si mette a saltellare e ad abbracciare i compagni. Ovviamente nell’azione successiva Spezi lo aspetta in uscita per aggirarlo e segnare, poi va a prendere il pallone e mentre torna a centrocampo gli dà una pacca sulla spalla: «Be’, adesso siamo pari, no?»
Anche in Germania, però, la luna di miele si interrompe bruscamente per questioni di soldi: la Federcalcio tedesca non ammette la retribuzione dei calciatori, il Norimberga aveva aggirato la norma concedendo a Schaffer parte dei suoi incassi, ma a Spezi non basta e se ne va al Basilea. In Baviera, però, non lo dimenticano e quando l’anno dopo vincono la Coppa nazionale battendo lo Schalke, il presidente Michalke gli invia un telegramma per ringraziarlo: «Questa vittoria è tutta tua». Anche in Svizzera raggiunge un accordo per la divisione dei ricavi dei biglietti, ma allo stadio a vedere Schaffer ci va talmente tanta gente che i dirigenti svizzeri obiettano che con quelle percentuali Spezi diventerà più ricco del presidente: «E allora? – ribatte lui – Quello potete eleggerne uno ogni tanto, ma non credo che avrete un altro me».
Nell’estate del 1924 arriva un altro momento determinante per la sua vita: grazie all’abilità politica di Hugo Meisl, il calcio austriaco si è appena aperto al professionismo e il Wiener Amateuer sta per diventare Austria Vienna. Sempre grazie al maggiore dei fratelli Meisl e a Jimmy Hogan, la squadra si è riempita di campioni: dall’MTK è arrivato il giocoliere Kalman Konrad e dal quartiere Favoriten ecco un ventunenne biondo di nome Matthias Sindelar, magrissimo (lo chiamano Cartavelina) che in campo gioca e fa giocare come nessuno mai. Anche grazie ai consigli di Spezi, capace in questi anni di trasformare uno svantaggio – è in sovrappeso – in un vantaggio, perché il fatto di muoversi meno lo costringe ad affinare la visione d’insieme. L’Austria di metà anni Venti è uno spettacolo e nel 1924 centra l’accoppiata campionato-coppa. Lo show nello show, però, è quello di Schaffer che, sempre a caccia di guadagni facili, pare si arrampicasse in tribuna d’onore nelle pause di gioco per sfidare i ricchi signori a scommettere contro un suo gol. Poi tornava in campo, puntualmente segnava e a fine partita incassava la vincita.
Neanche a dirlo, l’idillio ha vita breve e Spezi si sposta a Praga, dove fa sia il giocatore sia l’allenatore. Neanche a dirlo, vince il campionato anche qui. A Vienna, però, torna nel 1930, quando il club gli offre la panchina e lui risponde con un telegramma che suona più o meno “Mille grazie. Stop. Stipendio duemila fiorini”. Controrisposta dell’Austria: “Duemila grazie. Stop. Stipendio mille fiorini”. Tre anni dopo, un altro ritorno: durante la sosta invernale del 1933 – mentre il Reichstag brucia e Hitler viene nominato cancelliere – lui torna a Norimberga e lo porta fino alla finale del campionato contro lo Schalke. Si gioca a Berlino e fra gli spettatori allo stadio c’è la Roma, che ha da poco chiuso al quinto posto la sua stagione in Serie A e fa una deviazione dalla sua tournée in Olanda. Sotto gli occhi dei suoi futuri giocatori, Schaffer è campione di Germania per 87 minuti, prima che il suo Norimberga incassi una clamorosa rimonta passando in tre minuti da 1-0 a 1-2.
Ormai in Germania tira una bruttissima aria e allora Spezi si regala una terza rentrée, stavolta all’MTK Budapest, che nel frattempo è diventato Hungaria. Quando va a parlare con il presidente, questi gli chiede indicazioni di mercato: «Non mi servono altri giocatori, quelli che ho vanno benissimo. Vedrà presidente che vinceremo il campionato». Si sbaglia: ne vince due, nel 1935 e nel ’36, quanto basta per fargli meritare la panchina della nazionale ungherese che guida ai Mondiali del 1938, chiusi al secondo posto dietro all’Italia. Forse le voci sulla sua risposta al presidente sono arrivate fino a Roma, dove viene ingaggiato da Igino Betti nella primavera del 1940. È con una certa sorpresa che il suo successore Edgardo Bazzini si sente chiedere «una mezzala e un centromediano, e io vincerò il campionato». Scoperto che non si può arrivare a Valentino Mazzola, Schaffer si mette a scandagliare i campi più nascosti d’Italia alla ricerca dei giocatori che facciano al caso suo. Anche stavolta, mantiene la sua promessa e porta la Roma al suo primo scudetto nel 1941.
I durissimi anni della guerra in Europa non bastano a fargli perdere la voglia di allenare, tanto che nel 1944/45 fa in tempo la piantare i semi del suo calcio sul prato del Bayern Monaco (che di questo gli rende merito ancora oggi), prima di morire in circostanze mai del tutto chiarite. Il suo corpo viene trovato nello scompartimento di un treno alla stazione di Prien am Chiemsee, gioiello delle alpi bavaresi. C’è bisogno di un suo tifoso per riconoscerlo, uno dei tantissimi che in quegli anni di lacerazioni estreme erano stati sudditi di un solo Fußballkönig.