Ha messo le radici del tiki taka ottant’anni prima di Guardiola e instillato l’idea perversa che il calcio sia una cosa divertente. Ha fatto di Bilbao la Barcellona degli anni Trenta e inflitto ai blaugrana la peggiore sconfitta della loro storia. La prima cosa che gli spagnoli hanno imparato da Fred Pentland, però, è come allacciarsi le scarpe. Letteralmente, perché nel 1921 a Santander di calciatori professionisti non ce n’era nemmeno uno, solo ragazzi di buona volontà che si dividevano fra le miniere di giorno e gli allenamenti di sera, con le ambizioni che non andavano al di là di un modesto torneo regionale. Il calcio spagnolo gli deve praticamente tutto – idee, tattica, attenzione internazionale e vocazione allo spettacolo – anche se Fred Pentland è sempre stato troppo signore per rivendicarlo. Figuriamoci per rivendicare in Inghilterra la considerazione che avrebbe meritato: a Jimmy Hogan almeno diedero del traditore dopo la disfatta contro l’Ungheria ispirata da lui, mentre Pentland, artefice fra l’altro della prima sconfitta internazionale della nazionale inglese, in patria sembra finito in qualche cassetto dove si preferisce non frugare.
Ed è un peccato, perché la sua storia avventurosa e visionaria merita di essere raccontata, se non altro perché dimostra che, negli anni in cui il WM di Chapman sembrava poter essere l’unica risposta alla modifica della regola del fuorigioco, un altro calcio era possibile. Un altro calcio inglese, solo fuori dall’Inghilterra. E se in Olanda c’era già Jack Reynolds che evangelizzava l’Ajax, se fra Austria e Ungheria imperversava il genio ribelle di Jimmy Hogan, la Spagna – che per gli inglesi significa sempre l’assolato Sud – era il posto giusto per tracciare una nuova via. Solo che la strada per arrivarci è particolarmente impervia per Pentland. Nato a Wolverhampton, che nel 1883 più che per i Wonderers di Stan Cullis è famosa per l’industria delle armi, fa l’operaio in una fabbrica di pistole prima di dedicarsi a tempo pieno al calcio: a vent’anni esordisce nel Blackpool e in dieci anni passera per Blackburn, QPR, Middlesbrough e Stoke City, togliendosi pure la soddisfazione di vincere la Home Nations Cup con la nazionale, l’unica competizione “internazionale” cui allora l’Inghilterra accettasse di partecipare. Chiusa la carriera nel 1913, dà inizio al tour europeo che segnerà per sempre la sua vita. La prima tappa è Berlino, dove accetta il lavoro che era stato offerto a Jimmy Hogan, vale a dire la panchina della nazionale tedesca per le Olimpiadi del 1916. La Prima Guerra Mondiale, però, cambia tutto e Pentland viene internato a Ruhleben, un campo per civili sei miglia a ovest di Berlino. All’inizio le condizioni sono durissime: i prigionieri dormono su dei pagliericci e da mangiare hanno solo una scarsissima razione giornaliera. Le cose migliorano quando i tedeschi – che cominciano ad avere qualche problema sul fronte occidentale – incoraggiano i prigionieri a riprendere le loro normali attività.
Quello che succede a Ruhleben, raccontato da Barney Ronay sul Blizzard, è un miracolo: gli internati – 4000 persone circa, tutti uomini – sono espatriati appartenenti al mondo della cultura e della scienza (fra gli altri, ci sono il direttore d’orchestra Charles Adler e Sir James Chadwick, Premio Nobel per la fisica), per cui nel campo cominciano a tenersi affollate conferenze sugli argomenti più svariati, dalla chimica organica alla letteratura italiana, si attivano un servizio postale e un casinò, si aprono una lavanderia e una sala da tè. In un tempo sorprendentemente breve, Ruhleben diventa un mondo dentro il mondo sconvolto dalla guerra, e siccome è un mondo inglese, accanto al tè non può mancare il calcio, con ben due campi a dimensioni regolamentari. Pentland non è l’unico ex calciatore: oltre a lui ci sono il nazionale Steve Bloomer (28 gol in 23 partite con l’Inghilterra), il suo ex compagno al Blackburn Sam Wolstenholme e poi Fred Spiksley dello Sheffield Wednesday, lo scozzese John Cameron, John Brearley e il tedesco Edwin Dutton, figlio di emigrati del South Shields. Tutti facevano gli allenatori in Germania prima della guerra e si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Nel campo, comunque, ci sono talmente tanti aspiranti calciatori da poter formare non una ma quattro squadre e mettere in piedi un vero campionato, con partite cui assiste un pubblico di migliaia di persone. Al punto che serve una Federazione che ne coordini le attività, la Ruhleben Football Association, di cui lo stesso Pentland diventa presidente. Nel settembre 1915 la neonata FA pubblica il suo almanacco, 88 pagine stampate (a caro prezzo) a Berlino, con dentro le biografie di tutti i giocatori, interviste ai capitani e quello che può essere considerato il primo manuale di tattica della storia del calcio. Fra le indicazioni a firma Pentland, spicca l’insistenza sullo short-passing game, che probabilmente gli veniva dagli anni al Blackburn, dove era stato allenato dall’ex maestro elementare Robert Middleton. Può sembrare paradossale, ma è certo che l’atmosfera del campo, senza la pressione per il risultato a tutti i costi, abbia contributo al formarsi di un’idea centrale nel calcio di Pentland e forse la più importante lasciata in eredità al movimento spagnolo: quella che si possa giocare per divertirsi e per divertire il pubblico. Un pensiero scontato per i moderni, ma assolutamente rivoluzionario per i primi anni del Novecento, soprattutto per un inglese: se le persone vogliono essere intrattenute, che vadano a teatro. Il calcio ha a che fare con il coraggio, mica con l’arte.
Quando lascia Ruhleben alla fine della guerra, Fred ha 35 anni. Torna in Inghilterra, ma non per restare e due anni più tardi è fra i protagonisti del memorabile 1920 parigino, dove riesce a ottenere la panchina della nazionale francese, che porta fino alla semifinale ai Giochi di Anversa, arrendendosi alla sola Cecoslovacchia. È però soltanto con il trasferimento in Spagna nel 1921 che il suo genio calcistico riesce a esprimersi compiutamente. Anche al di là dei Pirenei, il calcio è un affare da inglesi, quelli che siedono nei consigli di amministrazione di molte delle società minerarie attive fra Andalusia e Paesi Baschi e quindi, almeno inizialmente, è un fenomeno lontano dalle grandi città. Dalla Rio Tinto Mine Company di Huelva, il gioco prende piede grazie agli allenatori venuti dall’Inghilterra che, da Barcellona a Bilbao, insegnano lo stile cuore, fango e polmoni della più stretta tradizione e mettono in campo le squadre nella piramide classica del 2-3-5. Quando Pentland arriva al Racing Santander e si trova di fronte questo scenario, sa benissimo da dove cominciare. Back to basis, lads. Innanzitutto le scarpe da gioco: la prima cosa che gli spagnoli imparano dal loro nuovo allenatore è come fare il nodo all’inglese ai lacci degli scarpini. D’altra parte, restare in piedi è fondamentale nel tipo di calcio che Pentland insegna al Racing, prima squadra spagnola a essere edotta al concetto di short passing. Il nuovo stile si fa notare e già dopo una stagione, al giovane Fred viene offerto un contratto dall’Athletic Bilbao – il cui nome tradisce la chiara origine inglese – con uno stipendio mensile di 10,000 pesetas, una cifra impensabile per un allenatore di calcio. Si alza qualche sopracciglio sulle facce dei giocatori baschi quando, alla prima seduta di allenamento, il nuovo tecnico si presenta abbigliato di tutto punto, con tanto di panciotto, giacca, sigaro fra i denti e in testa una bombetta che non si toglie nemmeno quando deve spiegare ai suoi i movimenti richiesti da questo strano modo di giocare, che invece di buttare la palla avanti insegna a controllarla – possibilmente con un tocco – e poi a passarla con precisione, senza fretta. Tutto un altro mondo rispetto allo stile spagnolo, già battezzato la furia, forse perché il calcio di Pentland è nato letteralmente in un altro mondo, quello di Ruhleben.
Esigente al punto da mandare a casa chi non fa quello che dice lui, El Bombín – come viene ribattezzato per via del suo inseparabile cappello – passa in breve tempo da curioso personaggio a visionario di successo. “Get the basics right and the rest will follow”, non si stanca di ripetere ai suoi giocatori. Il suo primo mandato al Bilbao mette in bacheca la Coppa del Re 1923, grazie al successo per 1-0 sui catalani del Esportiu Europa, ma dopo due stagioni senza trofei e una lite con la presidenza che mette in discussione i suoi metodi, se ne va sbattendo la porta nel 1925 e passa all’Atletico Madrid, con cui vince subito il Campionato del Centro, e poi al Real Oviedo. È in questo periodo che contribuisce con i suoi consigli a un evento epocale, la prima sconfitta dell’Inghilterra contro un’avversaria continentale, naturalmente lontano da Wembley. Succede all’Estadio Metropolitano di Madrid, dove i sedicenti maestri inglesi vengono piegati 4-3 dalla Spagna nel 1929, con Pentland consulente tecnico dell’allenatore José Maria Mateos.
Nello stesso anno, a Bilbao riconoscono l’errore e Fred può tornare a dirigere gli allenamenti dell’Athletic fumando i suoi sigari. Nel frattempo, però, le sue idee sono dilagate fino a Barcellona, con i blaugrana che vincono la prima edizione della Liga giocando lo short–passing game di Pentland, ripreso da Romà Farns, primo tecnico spagnolo del Barça dopo due inglesi, un ungherese e un austriaco. L’anno dopo è tutto del Bilbao, che diventa la prima squadra a centrare il doblete campionato-Coppa del Re. L’Athletic chiude la Liga senza nemmeno una sconfitta e dà spettacolo in tutta la Spagna: la gente allo stadio si diverte a veder giocare questa squadra che non butta mai via il pallone e che nel 1931 infligge al Barcellona quella che è tuttora la sconfitta più pesante della sua storia, il 12-1 che sa di affermazione di potenza in una stagione chiusa ancora con il doblete. I successi costano a Pentland la bombetta, visto che l’esultanza rituale per ogni trofeo prevede che i giocatori ci saltino sopra fino a distruggerla. Nel 1932 e nel ’33 arrivano altre due Coppe del Re, che fanno dell’Athletic l’ultimo club ad aver vinto per 4 volte di seguito la coppa nazionale, finché una nuova lite con la presidenza, stavolta per il rinnovo del contratto, convince Pentland a lasciare Bilbao e tornare all’Atletico Madrid, dove però resta solo per un breve periodo. D’altra parte in Spagna l’aria sta cambiando, e non certo in meglio. Nel 1936, con lo scoppio della guerra civile, Fred torna in Inghilterra, dove allena ancora per due anni prima di ritirarsi dal calcio a 57 anni.
Il quarantennio franchista ha cercato di oscurare la sua fama, ma Bilbao non lo ha mai dimenticato. Le sue idee sono rimaste ad aleggiare sotto quella pioggia che non fa rumore – sirimiri, la chiamano in euskara – finché nel 2011 un allenatore venuto dall’altra parte del mondo non le ha fatte rientrare prepotentemente al San Mames regalando all’Athletic un’altra stagione di assoluta passione. Marcelo Bielsa non è mai stato tipo da bombetta, ma pare che qualche tifoso molto anziano abbia rivisto in lui qualcosa di quello strano inglese convinto che il calcio fosse una cosa divertente.