«Deve succedere qualcosa». Quando sente questa frase pronunciata da Matthias Sindelar, Walter Nausch non potrebbe essere più sorpreso. Non avrebbe mai pensato che l’amico e compagno di squadra avrebbe risposto al suo «Dobbiamo fare qualcosa» con un suono più articolato del solito «Nnnjja», monosillabo buono a trarre d’impaccio Sindelar in tutte le occasioni. Stavolta, invece, è riuscito a cavarsi di bocca un’intera frase, anche se solo per tradurre in forma quasi metafisica il suggerimento dello stesso Nausch. Sarà che non c’è molta gente ai tavoli del Café Bieber in questo pomeriggio di primavera del 1935: l’Austria Vienna ha terminato da poco il suo allenamento a qualche centinaio di metri da qui e i giocatori provvisti di auto sono già scappati verso il centro della città. Sarà che Sindelar e Nausch la macchina non ce l’hanno e allora si concedono una sosta in questo caffè a ridosso di Hackinger Steg, il vecchio ponte di legno che porta alla stazione della ferrovia urbana di Hütteldorf, periferia sud-occidentale di Vienna, da dove entrambi riprenderanno il treno per tornare dalle loro parti. Sarà anche che in squadra sta finendo l’aria da respirare, perché l’Austria viene da una stagione in cui è riuscito a buttarsi via su tutti i fronti – campionato, Coppa e Mitropa – e come se non bastasse in estate c’è stata pure la delusione del Mondiale italiano che nessuno si aspettava di chiudere senza la coppa, figuriamoci fuori dal podio. Il presidente Schwarz, animato da un ottimismo incrollabile, ha provato a scuotere i giocatori: «Ragazzi, ce la potete fare. Solo, lasciate perdere la danza sulle uova. Sindelar – ha aggiunto rivolgendosi direttamente alla stella della squadra – tu devi concludere. Non solo danzare». Per Sindelar questa sarebbe stata l’occasione perfetta per prodursi in uno dei suoi “Nnnja”, invece contro tutte le sue abitudini aveva guardato bene negli occhi il suo presidente e per una volta non aveva divorato le parole: «Alla lunga non si vince niente se si pensa solo a buttarsi in avanti. Contro i cagnolini potrà anche funzionare, ma contro le squadre forti si deve anche saper giocare. Bisogna metterli fuori gioco come in una partita di scacchi, sa».
Non era così che Sindelar era abituato a parlare. Anzi, non era proprio abituato a parlare. L’oratore della squadra è il capitano Walter Nausch, il difensore più elegante d’Europa, che infatti non viene come Matthias dal quartiere operaio Favoriten, ma dal borghese Josefstadt. Eppure, l’idea che cambierà le sorti della stagione dell’Austria Vienna e mostrerà che il calcio – anche il migliore, anche il Donaufußball – può essere pensato in un altro modo, non viene in mente a lui ma a Sindelar, che – e questa è una notizia – trova pure le parole per farla capire agli altri. Certo, cominciare a spiegarla a uno con l’intelligenza di Nausch rende le cose più semplici. Così, quando al Café Bieber Walter se ne esce con il suo «dobbiamo fare qualcosa», Matthias non fa altro che tirare fuori quello che gli passa per la testa ormai da qualche mese. «Qualcosa deve succedere» significa che non basta fare qualcosa, che c’è bisogno di una rivoluzione a un livello più alto.
D’altra parte, un Kaffehaus è il posto giusto in cui parlare di idee rivoluzionarie, anche se non soprattutto se c’è di mezzo il calcio: il più centrale Ring Café è abitualmente teatro di accesi dibattiti fra le prime firme della stampa sportiva viennese, su tutti Ervin Müller del Tagblatt e Artur Steiner del Krone Zeitung, oltre naturalmente a Hugo Meisl, figura centrale del calcio austriaco ed europeo in generale, fra i fondatori dell’Austria Vienna, commissario tecnico del Wunderteam, la nazionale austriaca degli anni Trenta, e protagonista insieme all’inglese Jimmy Hogan di un sodalizio calcistico determinante per lo sviluppo del beautiful game sul Continente.
Proprio lui ha attributo a Sindelar il soprannome con cui sarebbe passato alla storia – naturalmente nel bel mezzo di una discussione da bar. Il caffè in questione stavolta è l’Annahof, l’anno il 1926 e una sera di fine estate indugia fuori dalle finestre del locale in cui i soliti personaggi stanno dibattendo sul ventitreenne centravanti dell’Austria Vienna: da una parte c’è chi lo accusa di estetismo fine a se stesso, dall’altra chi lo difende in nome dell’arte. Dirime la questione un uomo corpulento che fino a quel momento era rimasto silenzioso: dal suo tavolo si alza in volo un aeroplanino di carta, che disegna una elegante parabola prima di planare delicato sul tavolo dell’accusatore. «Vedete? Questo è Matthias Sindelar», tuona la voce di Hugo Meisl. «Der Papierene», confermano gli altri guardando di cosa è fatto l’aereo. Cartavelina. Il nuovo epiteto avrebbe presto raggiunto il diretto interessato a Favoriten, dove trova d’accordo perfino i suoi amici più stretti, costretti a convenire che «be’ Motzl, se uno ha ragione, ha ragione».
Nove anni dopo, tocca a Motzl – come lo chiamano nel suo quartiere di immigrati boemi e ungheresi – fare una cosa che mai avrebbe immaginato: prendersi la scena non in campo, ma in un Kaffehaus. Con le parole. Nnnjja. Non che Sindelar cominci a parlare con l’intenzione di tenere una lezione di tattica al Café Bieber, come se Nausch avesse bisogno di ripetizioni o come se certi discorsi da professore toccassero a lui. Lui che faceva impazzire di rabbia Jimmy Hogan, perché in campo faceva tutto benissimo ma non avrebbe saputo dire perché, e Jimmy aveva sempre diffidato dell’istinto puro. Ora però sono solo lui e il suo amico Walter, senza lavagne, senza numeri, al massimo qualche zuccheriera. Qualcosa sta per succedere. Deve succedere. «Primo – esordisce Nausch – bisogna che Karl Sesta limiti le sue corse sulla fascia all’attacco. Basta rincorse indietro che gli tolgono energie». Ma per poterlo fare, interviene Sindelar, bisogna rinforzare la difesa: «Tu e Adamek dovete tenere la posizione, così noi davanti avremmo un po’ più di sicurezza». Magari è troppo azzardato dire che quell’invito a “tenere la posizione” anticipi il concetto di difesa a zona, ma certo che una difesa meglio organizzata fosse alla base di un attacco più efficace è un’idea che nell’Europa occidentale sarebbe stata recepita pienamente solo con Arrigo Sacchi. Cinquant’anni prima del suo Milan, Sindelar più parla e più si convince che solo così qualcosa può succedere. Lui e Nausch sono talmente presi dalla conversazione da non accorgersi che nel bar hanno fatto il loro ingresso due signori e che molto discretamente si sono avvicinati al loro tavolo per ascoltarli. Robert Lang e Pepi Blum, come da qualifica britannica rispettivamente manager e trainer dell’Austria Vienna, non si sentono offesi dal fatto che i due giocatori più importanti della squadra se ne stiano in un bar a parlare di come far giocare la squadra. Anzi. «Hai ragione, il Centerhalf deve giocare anche in difesa, non solo in linea con gli altri centrocampisti. E dobbiamo scaglionare l’attacco». Scaglionare?, lo guarda perplesso Sindelar. «Sì, restare agganciati l’uno con l’altro. Questo ci permetterà di crearci dello spazio». Alla fine dell’improvvisata riunione tecnica, i quattro decidono che saranno Nausch e Sindelar a comunicare le novità ai compagni, perché hanno più possibilità di farsi ascoltare.
Poi qualcosa comincia a succedere. Il banco di prova è la Mitropa Cup, la competizione internazionale che nell’arco di quasi un’estate mette di fronte le migliori squadre di Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Svizzera e Italia. Dopo la figuraccia della stagione precedente, nessuno crede molto nell’Austria Vienna, che si rivela la sorpresa dell’edizione 1935 grazie all’arma che nessuno si aspetta. L’organizzazione difensiva. La prima a fare le spese del nuovo, modernissimo, volto dei Violetten è l’Ambrosiana, travolta 5-2 in una Milano soffocata dal caldo nell’andata del primo turno, con Sindelar a stravincere il confronto a distanza con Giuseppe Meazza, con il quale da anni si contende lo scettro di miglior attaccante d’Europa. Anche nella sfida di ritorno a Vienna, il 23 giugno l’Austria domina in ogni zona del campo e chiude sul 3-1, con tripletta di Sindelar. «È la migliore squadra contro cui abbiamo mai giocato», dice Meazza. Ma il bello deve ancora venire: la sconfitta per 1-0 a Praga contro lo Slavia è annullata dal 2-1 del ritorno, così per decidere chi andrà in semifinale ci vuole lo spareggio. Finisce 5-2, con l’esterno destro dello Slavia Rudo Vytlačil che va a congratularsi con Sindelar, che conosce piuttosto bene, visto che sono stati bambini insieme a Favoriten. In semifinale, contro il Ferencváros capitanato da György Sárosi, si vede probabilmente il miglior Austria Vienna di sempre. Che però viene eliminato.
Ormai, però, qualcosa è successo. Qualcos’altro succederà – l’Austria vincerà la Mitropa l’anno successivo, nel 1936, battendo in finale lo Sparta Praga. Nnnjja.