A riempire gli occhi magari ci penserà ancora Kasper Dolberg, ma alla fine quello che aprirà il cuore alla gente ad Amsterdam nella prossima stagione sarà arrivare in fondo ai tabellini dell’Ajax e leggere “Trainer: Keizer”. Due punti sono una diga troppo fragile per contenere l’onda di suggestioni alzata da quelle due parole messe in fila. Perché se l’allenatore dell’Ajax si chiama Keizer, niente può andar male. Anche se il suo nome è Marcel, anzi forse proprio per questo. Lo zio Piet – quello che “Cruijff was the best, but Keizer was the better one” – ha fatto in tempo a vederlo arrivare a De Toekomst, ma non alla panchina della prima squadra, appena lasciata libera da Peter Bosz. Solo un anno fa, un posto che sembrava l’ideale per un esordiente, tanto peggio che perdere il campionato buttandosi via all’ultima giornata non poteva succedere. Adesso è una delle panchine più scomode d’Europa, dopo la sbornia di spettacolo e gioventù che ha fatto improvvisamente riaccendere le luci su Amsterdam.
Forse il fatto che Bosz sia stato lasciato andare senza troppi clamori, oltre a essere in linea con un certo minimalismo olandese, è anche sintomatico di come all’Ajax si stia seguendo una linea precisa anche per quanto riguarda gli allenatori. Non ha stupito nessuno che alla guida della squadra vice campione in Olanda e in Europa League sia stato promosso il tecnico dell’Ajax Jong, la seconda squadra iscritta al campionato della seconda serie olandese. Anzi, a molti è sembrata la scelta più coerente: molto legato al direttore tecnico Dennis Bergkamp, Marcel Keizer è già del tutto immerso nella realtà dell’Ajax, che conosce da oltre trent’anni, ha lavorato con tutti i ragazzi che dopo la finale di Stoccolma sono diventati oggetto del desiderio delle squadre di mezza Europa e soprattutto ha già convinto il raffinato pubblico di Amsterdam con lo spettacolo offerto dal suo Ajax Jong.
Giusto un anno fa, era stato Bergkamp in persona a richiamarlo, dopo che i due avevano seguito strade diverse per un po’. Nati nel 1969 ed entrambi autentici Amsterdammers, i due si erano conosciuti proprio sui campi dell’Ajax, quando condividevano prima gli allenamenti delle giovanili, poi quelli diretti da Johan Cruijff nel suo ultimo anno sulla panchina di casa. Dopo l’addio di Van Basten, toccava a Bergkamp il ruolo di stella della squadra, nonostante non avesse ancora compiuto vent’anni. Keizer, invece, era un modesto centrocampista e non sarebbe andato oltre 4 presenze in 2 stagioni. La passione per l’Ajax l’aveva ereditata dal padre Kees, che aveva vestito la maglia di Aiace nel 1964/65, e naturalmente dallo zio Piet, pietra angolare del grande Ajax di Rinus Michels e amico fraterno di Cruijff. Pochi mesi dopo la sua nascita, lo zio giocava la prima finale europea della storia del calcio olandese, perdendola malamente contro il Milan di Gianni Rivera, prossimo al Pallone d’Oro. Marcel è letteralmente cresciuto con il calcio totale, prima da spettatore, poi da allievo. Dopo una lunga carriera con il Cambuur in seconda divisione, nel 2003 decide che l’idiosincrasia per il pallone, che dal 1975 aveva colpito lo zio Piet, non fa affatto per lui. Così si mette ad allenare. D’altra parte, le basi da cui partire erano più che solide. Il resto lo ha fatto la grande applicazione e l’ammirazione non cieca nei confronti del lavoro di Pep Guardiola. Del quale, d’altra parte, è una specie di fratello separato, perché il concetto di fondo delle rispettive filosofie di gioco lo hanno attinto dalla stessa fonte: il gioco posizionale. Solo che mentre Guardiola ha potuto svilupparlo rapidamente, visto che al Barcellona lavorava con giocatori già formati in questa direzione, Keizer ha fatto una fatica disperata nei suoi anni di gavetta per spiegare alle sue squadre che significa saper occupare una posizione e non stare semplicemente in campo.
Anche nel tentativo di riuscire più comprensibile, Marcel ha coniato una sua terminologia per chiarire il senso dello spazio nel suo calcio – ed è proprio questa impostazione precipuamente spaziale a distinguere il suo gioco posizionale da quello di Guardiola, ma anche da quello di Tuchel. Insieme al suo vice Arne Slot, che nella prossima stagione sarà assistente tecnico all’AZ Alkmaar, ha messo a punto una originale suddivisione dello spazio, che nel gioco posizionale e in generale nel calcio totale non coincide con il campo da gioco. Lo spazio che Keizer prende in esame è composto da due zone: la Hotzone, che si estende dal centrocampo alla difesa della squadra avversaria, e la Scoringzone, la parte centrale che comincia a 16 metri dalla porta altrui. Interessante notare innanzitutto come il criterio di suddivisione non sia né il campo nella sua interezza, né – come in Guardiola – il modo di occuparlo, bensì l’avversario. L’altro definisce lo spazio in cui mi muovo. È evidente che centrocampo e difesa opposti non si troveranno sempre nella medesima area del campo: potranno stare più compatti o più lontani, ma saranno comunque loro il punto di riferimento per i movimenti della squadra. Ora, l’idea di Keizer è di lasciare sempre almeno 3 giocatori nella Hotzone, in modo da poter avere in qualsiasi momento la possibilità di creare all’istante la superiorità numerica. Non solo: la Hotzone è anche l’area da privilegiare in fase di costruzione. Il gioco passa quindi per la maggior parte per vie centrali e sfrutta le fasce soltanto quando, arrivati alla Scoringzone, lo spazio si allarga per avere cross che arrivino da punti il più vicini possibile alla porta avversaria, e dunque auspicabilmente più precisi.
In generale, si tratta quindi di mettersi in una posizione dominante nella parte centrale del campo, in modo da contrarre lo spazio, costringere i difensori avversari all’uscita e spalancare praterie alle loro spalle. Affascinante nella teoria, ma difficilmente applicabile nella pratica: i giocatori del Cambuur ci mettono impegno, ma non hanno una formazione di gioco posizionale e impararne una variante tanto complicata in pochi mesi è un compito più grande di loro. E a Keizer il laboratorio tattico costa il posto di lavoro, perché il 2-6 rimediato contro il PSV Jong spinge la dirigenza del club a esonerarlo.
Così, quando l’amico Bergkamp lo chiama per offrirgli un posto all’Ajax, Keizer si sente come un coreografo cui si spalanchino le porte del Metropolitan. Perché i giocatori dell’Ajax Jong – fra cui i vari Kluivert, De Ligt, Eiting, De Jong, Nouri, Van de Beek – sono già stati formati nell’ottica del gioco posizionale e quando il nuovo allenatore parla, capiscono subito cosa vuole da loro. La prima metà della stagione è un trionfo, oltre che di risultati, anche di pubblico, peraltro reduce dalla noia del gioco conservativo del precedente tecnico Jaap Stam: in migliaia vanno ogni settimana a vedere i ragazzini allenati dal nipote di Piet Keizer che giocano un calcio Sturm und Drang che trasmette energia e che in breve tempo vale alla squadra il soprannome di Swinging Ajax. Toccando le vette del 7-1 all’Achilles ’29 e 7-0 all’Oss, chiudono il campionato al secondo posto con la bellezza di 93 reti segnate. Senza l’ansia del risultato, gli schemi offensivi insegnati ai giocatori funzionavano a meraviglia. Non fosse che qualche volta agli assalti non seguiva un’immediata riorganizzazione difensiva, come testimoniano i 54 gol subiti in 38 partite. Sarà probabilmente questo il primo aspetto sui cui Keizer dovrà lavorare, ora che i risultati avranno un peso diverso. Insieme al suo vice John Heitinga, con il quale preparava dettagliate videoanalisi già per l’Ajax Jong, sarà chiamato non solo a non far rimpiangere Bosz, ma anche a mettere alla prova le sue idee a un livello più alto. “Trainer: Keizer”. In fondo è già bellissimo così.