Perché il 14. Generosità, scaramanzia, concetto

Manca il 7. È questo il dato che salta agli occhi dei cinquantamila spettatori del De Meer quando vedono scendere in campo l’Ajax il 30 ottobre 1970. Poi magari guardano meglio e constatano che, no, il 7 è regolarmente in campo – del resto, la mezzala sinistra Gerrie Mühren è un intoccabile e in quel periodo è pure particolarmente in forma. Non è lui che manca, quanto la sua maglia abituale: la numero 7, appunto, peraltro in aperta deroga dalla numerazione classica importata dall’Inghilterra, che al left-midfielder assegna la numero 6. In questo pomeriggio umido di Amsterdam, invece, Muhren ha sulle spalle un inedito 9. Il che è doppiamente strano, visto che proprio oggi è pronto al debutto stagionale il proprietario abituale della maglia del centravanti, il ventitreenne Johan Cruijff, costretto a saltare per infortunio i primi due mesi del campionato. Che abbia avuto una ricaduta all’ultimo momento? No, dagli spogliatoi tutti hanno visto sbucare anche lui, ed è bello ritrovarlo, perché l’ultima volta che ha indossato la maglia numero 9 dell’Ajax è stato prima dell’estate. Da allora al De Meer sono successe tante cose, soprattutto dal punto di vista tattico, ma Johan le ha conosciute solo da spettatore. E adesso che finalmente rientra, perché è Mühren a indossare la sua maglia? Mistero. Tanto più che non appena arrivano le squadre – a proposito, l’Ajax gioca contro il PSV Eindhoven – si vede subito che il cambio non ha alcuna ragione tattica: Mühren va a sistemarsi sulla sinistra del terzetto di centrocampo con il 9 sulle spalle e Cruijff parte dalla consueta posizione centrale. Con il 14. Il giocatore più talentuoso della squadra indossa un numero da riserva, proprio lui che una riserva non lo è mai stato, perché anche quando ha esordito in prima squadra appena diciassettenne lo ha fatto dal primo minuto.

Il retroscena dello scambio numerico che avrebbe creato un marchio – “Cruijff 14” è ancora oggi coperto dal diritto d’autore – lo avrebbe svelato molti anni più tardi lo stesso Gerrie Mühren. Pare che al momento di vestirsi per scendere in campo, la sua maglia numero 7 fosse introvabile. Gerrie rivolta lo spogliatoio, cerca dappertutto, ma la maglia non salta fuori. Mentre sta lì che brontola, Cruijff gli porge quella che sta per indossare muhren.panathinaikoslui: «Tieni, prendi la mia», dice al compagno che da bambino condivideva la sua ammirazione per Alfredo Di Stéfano, ma in più era anche tifoso del Real Madrid. E senza aspettare risposta, Johan va dritto verso il cesto delle maglie pulite, afferra quella in cima alla pila e se la infila senza badare al numero. In realtà, se si presta fede a quanto Cruijff scrive nella sua autobiografia riguardo alla sua passione per la numerologia, è difficile credere che possa essergli sfuggito il fatto che 14 è il doppio di 7, la maglia perduta. Comunque sia, l’incidente del pre-partita si chiude lì e l’Ajax scende in campo senza numero 7, con il 9 in posizione di mezzala sinistra e il 14 centravanti. A posteriori, sembra una prefigurazione dello scompaginamento della numerazione tradizionale che è una delle cifre caratteristiche del calcio totale olandese, che arriverà a picchi surrealistici mai toccati mettendo in porta il numero 8 ai Mondiali 1974. Il 30 ottobre 1970 al De Meer, però, non è altro che una soluzione d’emergenza. Forse ispirato dal numero da bomber, Gerrie Mühren segna al 69’ la rete che decide la partita e i tifosi tornano a casa felici per la vittoria e per il rientro di Cruijff.

Cinque giorni più tardi, quando l’Ajax va a giocare sul campo del Basilea nel secondo turno di Coppa dei Campioni, la ritrovata maglia numero 7 è pronta a tornare sulle spalle di Mühren. Senonché, poco prima di scendere in campo Johan va da lui e gli porge la sua numero 9: «Tienila tu», e va di nuovo a prendere la 14 dal cesto, stavolta mirando proprio a lei. La scaramanzia ha le sue ragioni che la numerazione inglese non conosce. Cruijff, che ha sempre minimizzato sull’avvento del suo celeberrimo numero di maglia, un po’ per noia e un po’ forse per non dissipare del tutto il mistero, non ha mai spiegato se a spingerlo a lasciare la 9 a Mühren fosse stato davvero il fatto che il primo scambio sia coinciso con una vittoria. Lo spogliatoio dell’Ajax era un ricettacolo di riti scaramantici, il cui depositario universale era lo storico massaggiatore Salo Muller. Johan, inoltre, aveva un particolare interesse per i numeri, ereditato, a sentire lui, dai suoi geni commerciali (il padre Manus aveva un negozio di frutta e verdura e lui stesso ne avrebbe aperto uno di scarpe nel quartiere Jordaan). Resta il fatto che da quel momento in poi il suo numero di maglia sarà il 14, mentre Mühren si terrò il 9. Johan conserverà il 14 fino al suo trasferimento al Barcellona, dove recupererà la maglia numero 9. Lo porterà anche in Nazionale, dove campeggerà bianco su fondo arancione, neanche fosse fatto apposta per il primo Mondiale trasmesso a colori in televisione. Il che potrebbe far pensare che Cruijff lo ritenesse qualcosa di precipuamente olandese.

L’argomento ha generato negli anni una vasta produzione di testi più o meno retorici, che hanno cercato di scorgere nel numero 14 un significato che, come si è visto, sul nascere non ha mai avuto. Eppure la tentazione di erigerlo a sintesi del calcio totale è forte. Non in quanto gesto rivoluzionario – Cruijff non voleva lanciare sfide o sovvertire regole, ma solo fare un favore a un amico. Piuttosto inquadrandolo in una prospettiva più ampia: cruijff.14cosa significava negli anni Settanta sganciarsi dalla numerazione standard? Forse dare una riscrittura testuale al processo che aveva portato alla destrutturazione dello spazio di gioco. Portando fino in fondo le intuizioni dei maestri danubiani e combinandole con la formazione che gli veniva dalla migliore scuola inglese, Rinus Michels riesce a cambiare i punti di riferimento in campo: non gli avversari, né il pallone, piuttosto gli spazi. «Arrivavano da tutte le parti», dirà l’interista Gabriele Oriali ricordando la finale di Coppa dei Campioni del 1972. In questa spazialità travolgente sta la novità del Grande Ajax. Ma se ci si muove “da tutte le parti”, il numero di maglia, così utile a dichiarare chi sta dove, viene svuotato di senso. Una delle più ricorrenti descrizioni di Cruijff è “un 10 che giocava con il 14”, dove evidentemente si pone l’accento sulle doti di fantasia tradizionalmente attribuite ai numeri 10 classici. Ma Cruijff non è solo questo. Cruijff segna come un 9, dribbla come un 7, lancia come un 8 e corre come un 3. Dietrich Schulze-Marmeling, nel suo “Der König und sein Spiel”, suggerisce che il numero 14 simboleggi la soluzione della questione del ruolo di Johan: “Il 14 lascia tutto aperto”, scrive. Una interpretazione suggestiva, tanto più se in questa apertura estrema si riconosce il tratto “totale” del calcio del Grande Ajax. Un calcio dove tutto è possibile, ma che è l’esatto opposto dell’arbitrarietà. Un calcio dove prima di tutto viene la disponibilità nei confronti della squadra: «Prendi la mia», dice Cruijff a Mühren, e anche questo è calcio totale. Altruismo che magari la scaramanzia cristallizza e che poi diventa sistema – nel senso di insieme organizzato di parti singole, non in quello alienante di riduzione a standard. Questo sì, ben esauribile in numeri. Il 14, invece, come il calcio totale e Parigi, non finisce mai.

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