“Cruijff e Dullens convocati in Nazionale”. Per i lettori del Telegraf il 7 febbraio 1966, il nome che salta agli occhi non è quello di Johan. La notizia è piuttosto che in Nazionale ci vada finalmente Willy Dullens, ventunenne numero dieci del Sittardia – semplicemente il miglior talento in circolazione. Meglio di Cruijff, che pure nell’Ajax gioca titolare da un anno e mezzo. Forse meglio perfino di Piet Keizer, che di anni ne ha ventitré ed è la pietra su cui Rinus Michels sta costruendo il Grande Ajax. Certi numeri di Dullens, però, non li hanno né Johan né il suo amico Piet. Nessuno è abile nel dribbling quanto lui, che con la palla al piede fa quello che vuole, incluso farla sparire e riapparire per incanto quando per il portiere è troppo tardi, ormai tocca allo speaker.
E pensare che questo maghetto – 55 chili in un metro e 69 di agilità pura – è praticamente autodidatta. È cresciuto a Broeksittard, un paesino nei pressi del confine con la Germania, nella provincia meridionale di Limburg. Papà minatore, mamma casalinga, sei giorni si lavora e il settimo si va in chiesa. Al massimo si guarda un po’ di calcio nel pomeriggio. D’altra parte, a lui e ai suoi fratelli Zef e Louis interessa solo il pallone. Invece della Bibbia, sul suo comodino c’è un libriccino intitolato ‘Voetballen doe je zo’, che significa ‘Come giocare a calcio’. L’autore altri non è che Abe Lenstra, leggenda dell’Heereveen, con cui segnò 523 gol in 500 partite dal 1936 al 1954, e della nazionale Oranje, dove formò uno storico tridente con Faas Wilkes e Kees Rijvers. Il giovanissimo Dullens prende molto sul serio le indicazioni del suo idolo e si esercita senza sosta: «Un giorno ho cominciato a palleggiare», avrebbe raccontato in seguito, citato in un bell’articolo di These Football Times. «Mio padre tornò dal lavoro e mi chiese quale fosse il mio record per quel giorno. Gli dissi che era 3.500 e continuai a palleggiare. Quando arrivai a 6.000 mi fermai perché pensavo che tanto nessuno avrebbe battuto il mio record». In realtà, più che Lenstra lui ricorda il dribblomane Wilkes, capace di saltare anche quattro o cinque avversari di seguito. Tutto quel talento, però, va coltivato: «Mi allenavo sei ore al giorno, da solo. Gli allenamenti con la mia squadra erano troppo facili, non ricordo di essere mai tornato a casa stanco». La squadra in questione, i dilettanti dell’Alemania, vede presto moltiplicarsi il numero dei suoi spettatori: da tutta la regione la gente va a vederlo giocare, inclusi i dirigenti dei club professionistici che vorrebbero portarlo nel loro settore giovanile.
Quando Willy compie 14 anni, l’allenatore dell’Alemania non resiste più e lo fa esordire in prima squadra, usando i documenti del fratello per far credere all’arbitro che ne abbia 16. L’anno seguente firma con il Sittardia, club di Prima Divisione, con cui esordisce diciottenne nel 1963: alla sua prima stagione fra i professionisti (professionisti di nome, perché ancora nessun calciatore in Olanda riceve ufficialmente uno stipendio) segna 18 reti e trascina la squadra alla promozione in Eredivisie. Ora sì che lo vedono tutti. Va a giocare negli stadi più importanti del Paese, incluso il De Meer di Amsterdam, dove Willy regge il confronto con il gioiello locale Keizer, che solo a 5’ dalla fine riesce a servire a Klaas Nuninga l’assist per la rete che decide la partita. Memorabile resta però la sfida con il Veendam, in cui comincia a dribblare nella propria area di rigore e si lascia alle spalle sette avversari, prima di depositare con tutta calma la palla in rete – roba che in quegli stessi anni forse solo George Best. L’arbitro stesso si ferma ad applaudire la prodezza, salvo poi doversi dare parecchio da fare per evitare l’invasione di campo del pubblico in delirio.
Nonostante il successo, Dullens continua a fare una vita estremamente rigorosa: niente fumo né alcol, alle 10 si va a dormire. Senza eccezioni, perché «l’unica volta in cui ho fatto tardi, ho giocato così male da farmi ridere dietro». Vuole solo diventare il migliore. Ambizione condivisa con il diciannovenne di Amsterdam che il 6 febbraio 1966 riceve la sua stessa convocazione al centro federale di Zeist. Tutt’altro carattere, Cruijff: sfrontato, sempre con la risposta pronta e altro che a dormire alle dieci, fortuna che c’è Keizer a tenerlo d’occhio. Contro ogni aspettativa, però, due tipi così diversi che vogliono la stessa cosa, finiscono per diventare amici. Al raduno dell’inverno ’66 sono gli ultimi arrivati, ma almeno Johan può contare sul supporto di gente come Sjaak Swart, suo capitano nell’Ajax e voce fra le più influenti anche nello spogliatoio oranje. Dullens invece è solo e potenzialmente esposto alle angherie dei campioni delle squadre del nord – oltre al blocco Ajax, ci sono anche il leader del Feyenoord Rinus Israel e quello del PSV Daan Schrijvers, capitano della Nazionale. Ma basta che lo guardino toccare il pallone la prima volta, perché tutti siano dalla sua parte: «Perfino un cieco si sarebbe reso conto che era speciale», dirà lo stesso Swart. Quelli con cui Willy lega di più, però, sono gli ultimi arrivati: Cruijff e poi Willy van der Kuijlen, che si apprestava a diventare il giocatore con più presenze e reti del PSV, con cui avrebbe vinto la Coppa Uefa nel 1978. I tre diventano buoni amici, anche se Willy non riesce a capire perché Cruijff fumi come una ciminiera. Il raduno si conclude con un’amichevole contro i francesi del Racing Strasburgo a Den Haag, che l’Olanda vince 6-1. Dullens ha passato l’esame a pieni voti, e infatti pochi mesi più tardi, il 27 aprile 1966, esordisce ufficialmente in Nazionale contro il Belgio nel tutto esaurito De Kuip di Rotterdam, lo stadio del Feyenoord. L’Olanda vince 3-1. Dopo la partita, le due squadre vanno a cena insieme e quando Willy fa il suo ingresso in sala, tutti, Olandesi e Belgi, si alzano in piedi a battergli le mani. Due settimane dopo, l’Olanda batte 3-0 la Scozia a Hampden Park: Dullens gioca una partita ancora migliore della precedente, ma stavolta viene messo in ombra da uno straordinario Piet Keizer, che fa impazzire la difesa scozzese sulla sinistra e spalanca spazi al centro per Willy van der Kuijlen, autore di una doppietta.
Poche settimane più tardi, Willy Dullens è in viaggio per Amsterdam. All’hotel Hilton lo aspettano per la cerimonia di consegna del premio di miglior giocatore dell’anno. Ha messo in valigia lo smoking, ma solo per ragioni di etichetta: nella stagione appena conclusa ha giocato in Prima Divisione e le uniche partite che potevano dargli visibilità sono state quelle con la Nazionale. Figuriamoci, il premio lo vincerà Cruijff, campione d’Olanda con l’Ajax e autore di 41 reti. E invece. Rob Rensenbrink, Wim van Hanegem, Rinus Israel, Willy van der Kuijlen, Piet Keizer, Johan Cruijff. Dullens se li lascia tutti dietro: è lui il miglior giocatore della stagione 1965/66, ed è la prima volta che il premio viene assegnato a un calciatore che non gioca in Eredivisie. I riflettori sono tutti per lui. In estate lo cerca il Feyenoord, che con lui potrebbe rispondere ai rivali dell’Ajax e al loro Cruijff. Il calcio comincia a essere una questione incredibilmente seria. L’allenatore di Willy al Sittardia, Jan Notermans, lo avvisa: «Bisogna che rallenti un po’ con tutti quei dribbling, hai una lunga carriera davanti. Se non ti calmi, finirai per farti male».
Eh già. Nell’agosto del 1966, il Sittardia gioca un’amichevole contro il Vitesse. Willy, che non ha mandato giù la ferma opposizione del club al suo trasferimento a Rotterdam, non vorrebbe nemmeno scendere in campo. Vorrebbe andarsene al cinodromo per il National Greyhound Race, dove lo aspettano per premiare il vincitore. Alla fine gioca. Segna subito, il Sittardia gioca sul velluto e si porta sul 4-1. A quel punto i compagni pensano al campionato e rallentano. Lui no. Prova l’ennesimo dribbling, ma stavolta il suo marcatore non abbocca e gli frana sul ginocchio. È finita, pensa Willy. E ha ragione: addio legamenti, addio Feyenoord, addio Van der Kuijlen e Cruijff. Addio calcio. «Non fare il bambino, ci servi!», gli dice Notermans, che lo rimanda in campo appena quattro settimane dopo l’incidente. Willy ci prova per i quattro mesi successivi, ma il nuovo Faas Wilkes non c’è più. Non sa più dribblare, anzi tende a evitare i contrasti. Non è più lui. Per rimettergli a posto il ginocchio c’è bisogno di un intervento chirurgico lungo otto ore, ma la prognosi è impietosa: potrà camminare, ma non giocherà mai più. Willy Dullens ha 22 anni.
A pochi mesi dopo dal suo ritiro, Cruijff insieme ad alcuni suoi vecchi compagni di squadra organizza una partita di beneficenza all’Olimpico di Amsterdam contro i tedeschi dell’Alemania Aachen. Allo stadio si presentano in più di 55.000 per vedere Willy Dullens in campo per l’ultima volta.
Cos’è la vita senza dribbling? È il salone da barbiere dove vengono da ogni parte d’Olanda per farsi tagliare i capelli dal più grande talento calcistico del Paese. È la prima birra bevuta a 29 anni. È stare alla larga dai campi di calcio. L’apnea di Willy Dullens dura fino al 1988, quando l’Olanda di Rinus Michels e Van Basten diventa campione d’Europa. Allora qualcosa dentro di lui cede. Ci vogliono diversi anni per riemergere dalla grave forma di depressione che lo coglie all’improvviso. E paradossalmente è proprio il calcio che lo aiuta a ripartire: dal 2000 torna a lavorare alla sua vecchia squadra, che nel frattempo ha cambiato nome in Fortuna Sittard, come direttore tecnico. Ci lavora anche oggi che ha 73 anni e sfida i ragazzini a batterlo sui 500 palleggi. Lui ci riesce ancora.
Nel 1999 la Federazione ha chiesto a Cruijff di selezionare la Nazionale del secolo per un incontro di beneficenza ad Amsterdam contro i migliori stranieri dell’Eredivisie. Il primo numero che Johan ha chiamato è quello di Willy Dullens: «Tecnicamente era più forte di me».