Il ragazzo deve il nome ai Frenkie Goes to Hollywood, e in un certo senso è come se davvero si stesse incamminando verso la ribalta mondiale. Il volo Amsterdam-Barcellona è storicamente uno dei più frequentati del calcio europeo, almeno da quando, nell’autunno del 1973, da Schipol si imbarcava Johan Cruijff. Pagato tanto, l’allora cifra record di 60 milioni di pesetas – ma non c’è cifra che sia all’altezza di quello che avrebbe fatto per il Barcellona nei successivi quarant’anni. Se oggi Frenkie de Jong è il giocatore più pagato della storia dell’Ajax, non dipende da Cruijff, e si potrebbe discutere sui criteri di un mercato apparentemente senza freni. Se il Barcellona decide di spendere una cifra così alta su un ventunenne centrocampista centrale che a malapena arriva a 70 kg, questo invece ha anche a che fare con Johan, come sottolineato dal presidente blaugrana Josep Maria Bartomeu.
Il figlio minore dei fans del gruppo di “The power of love” avrà anche un fisico da liceale, ma gli occhi sono quelli del calcio totale. Grandi e blu come solo gli olandesi, gli occhi di Frenkie vedono lo spazio non come mero ricettacolo di eventi, ma come parte attiva degli stessi. «Quando ricevo la palla, cerco sempre di avere un’immagine di come sono posizionati i miei compagni sul campo». Basterebbe questo per capire che giocatore è De Jong. Uno che sa fare bene tante cose: ha coraggio e classe nel dribbling, resta lucido anche quando è pressato (si veda la partita dell’Olanda contro la Francia, in cui ha come avversario diretto Pogba) e in pochi sanno far uscire la squadra con altrettanta classe e senso del ritmo. Eppure non è niente di tutto questo a renderlo speciale. L’essenziale – che pure così spesso è invisibile agli occhi – è la visione, probabilmente l’idea cardine del calcio totale. Quando gioca, De Jong innanzitutto guarda. Cerca di formarsi un’immagine dello spazio che lo circonda, un’immagine mobile si potrebbe dire, più che una mera fotografia, perché lo spazio del calcio è necessariamente fluido. Ecco allora che formarsi quell’immagine, quel quadro generale che non è una generalizzazione, significa stare sempre sulla soglia dell’istante: vedere in anticipo il dispiegarsi dell’azione, ma anche poter cambiare tutto all’ultimo momento, nel caso un movimento imprevisto degli avversari, un rimbalzo del pallone, un soffio di vento modifichino l’immagine. È come l’orecchio musicale, si può affinare ma non imparare. Sarà per questo che certa critica, soprattutto all’estero, rimprovera a De Jong di affidarsi troppo all’intuito. «Quando sono in campo, gioco molto sull’intuizione, ma penso anche molto al gioco», ha spiegato in una splendida intervista al Guardian. «Molti buoni giocatori giocano sull’intuizione. Ciascuno ne possiede un po’, ma non so se si possa imparare. A volte pianifico. Vado sempre alla ricerca del passaggio. Cerco sempre di vedere i miei compagni. È libero? Allora sai già cosa fare». Il calcio totale nella sua versione più estrema, per esempio quella della Dynamo Kiev di Lobanovski, sta proprio nel creare le condizioni per quel “sapere già”. Ma non si tratta solo di questo, e lo spiega ancora De Jong: «A volte la situazione può cambiare. Allora devi reagire e usare l’intuizione». Un ragazzo di ventun anni che sintetizza il dibattito sulla libertà nel calcio totale – ci voleva sicuramente un olandese per questo.
Lo hanno paragonato a Cruijff e lui ha reagito scandalizzato: «Mi sento onorato, ma credo che non siamo paragonabili neanche lontanamente. Lui è talmente tanto migliore di me. Aveva così tanta qualità. Non raggiungerò mai quel livello. E non voglio paragonarmi a Cruijff: ho visto le sue partite ed era fantastico. Il mondo in cui si muoveva con la palla, il modo in cui vedeva il gioco…» Frenkie ha ragione: non si muove come Cruijff, non ha la sua qualità. Però guarda come Cruijff. Attenzione, non nel senso quantitativo: il grado di visione di Johan è più alto, lui vedeva per così dire più chiaramente. E tuttavia Frenkie condivide il suo modo di guardare, immersivo e insieme di sorvolo, intuizione e anticipazione. De Jong è uno che gioca con gli occhi aperti. Un’espressione comune per descrivere un tipo di gioco fluido è che i giocatori “si trovano a occhi chiusi”. Il calcio totale (almeno nella sua versione olandese) nasce dall’esatto opposto, se si considera quale suo momento iniziale la “partita della nebbia”, Ajax-Liverpool del 7 dicembre 1966: immersi in una coltre lattiginosa che limita la visuale a una manciata di metri, i giocatori di Michels per trovarsi devono aprire gli occhi. Sviluppano un altro tipo di visione, che ha a che fare con la vista quanto con l’intuito.
D’altra parte, non può essere un caso se Pep Guardiola, durante un suggestivo simposio con Arrigo Sacchi e Carlo Ancelotti al Festival dello Sport di Trento, ha così parlato dell’impatto di Cruijff quando allenava il Barcellona: «Johan ci ha aperto gli occhi». A lui, Pep, ma anche a Ernesto Valverde, attuale tecnico del Barça e dunque probabile futuro allenatore di De Jong. Che gli occhi li ha bene aperti, e per questo è pronto per andare a Hollywood.