Claude Puel. Figlio di un dio minore

Quando Guardiola ha fatto i complimenti al Southampton il giorno prima di affrontarlo in Premier, tutti hanno pensato alla solita pretattica. Magari vedendo i Saints portarsi via un punto sul campo del City capolista con un solo tiro in porta in meno, qualcuno avrà riconosciuto che forse stavolta Pep diceva sul serio. D’altra parte, solo un ossessionato come lui poteva usare con convinzione la parola “amazing” parlando del gioco del Southampton: non era pretattica e nemmeno ironia, piuttosto l’elogio di un pezzo di famiglia separata. Se Guardiola è l’erede al trono di Cruijff, l’allenatore dei Saints Claude Puel è l’ultimo discendente del ramo cadetto del calcio totale, quello che – anche se nessuno sembra ricordarselo – è passato attraverso Stefan Kovacs.

Inghiottito dall’ombra di Michels, l’allenatore romeno che con l’Ajax ha vinto due Coppe dei Campioni di seguito nel 1972 e nel ’73 passa per quello che ha dato al calcio totale un volto umano – troppo umano, disse qualcuno dei suoi ragazzi –, ma forse il suo merito più grande è aver introdotto in Francia l’idea di un sistema di formazione per i giovani calciatori e quella di un calcio in cui tutti aiutano tutti. Claude Puel ha la fortuna di crescere in questa Francia e di poter vedere da vicino come lavora Kovacs nell’unica annata che l’ex allenatore dell’Ajax passa sulla panchina del Monaco. È la stagione 1986/87 e mentre ad Amsterdam si preparano a festeggiare il primo trofeo monaco-867internazionale dai tempi di Kovacs – la Coppa delle Coppe firmata Cruijff – , lui si concede una deroga dalla pensione e a 66 anni è pronto a tornare sul campo per dare una mano alla squadra del Principato. Lì trova Puel, praticamente una leggenda del club, di cui è il secondo per numero di presenze dietro al solo Jean-Luc Ettori, che di quella squadra era il portiere. Una stagione povera in termini di risultati, ma ricchissima quanto al bagaglio di conoscenze che Kovacs lascia ai suoi giocatori e a chi li allenerà a partire dalla stagione successiva.

Quando 14 anni dopo Claude Puel decide di mettersi a fare l’allenatore, è naturale che cominci dal Monaco: un esordio col botto, visto che al suo primo anno in panchina vince subito la Ligue1, alla guida di una squadra in cui spiccano Trezeguet, Giuly e il portiere della Nazionale Barthez. Nel 2001, per la prima volta dopo 24 anni, il club non gli rinnova il contratto e a lui non resta che lasciarsi più di metà della sua vita alle spalle e cominciare il suo personale tour de France: a Lille prima dell’exploit di Rudi Garcia, a Lione dopo i fasti di Gérard Houllier. Ce ne sarebbe per farsi venire qualche complesso, ma non lui. Claude va avanti con la sua lezione e nel 2010 porta il Lione al punto più alto della sua storia, la semifinale di Champions League, e strada facendo si prende pure il gusto di eliminare il Real Madrid.

Nel 2012 lo chiama il Nizza ed è qui che la sua idea di calcio riesce a svilupparsi in modo più pieno. Il piccolo capolavoro è la stagione 2015/16, chiusa con uno splendido quarto posto in Ligue1 e con la rigenerazione di Hatem Ben Arfa. L’ex enfant prodige del calcio francese arriva in Costa Azzurra reduce da quasi due anni di inattività, conseguenza di un gravissimo infortunio e poi di una sentenza della Fifa, che nel 2014 aveva bloccato il suo trasferimento proprio al Nizza. Per venire a capo del suo carattere bizzoso e convincerlo a giocare con la squadra anche in fase difensiva ci vogliono tutta la calma e la diplomazia che Puel ha imparato da Kovacs. «Capisco che non sia una cosa naturale per un giocatore come te, ma questo vuol dire giocare a un livello più alto»: più o meno questo il discorso che il tecnico fa al suo giocatore più talentuoso per richiamarlo a quel “lavoro di squadra” che era un caposaldo tanto per Michels quanto per Kovacs. «Undici giocatori che partecipano al recupero del pallone, ciascuno con un ruolo particolare e dei compiti da fare. Tutti devono partecipare». Incluso Ben Arfa, che all’inizio non è per niente contento di dover tornare indietro dopo ogni accelerazione per dare una mano in fase di non possesso. D’altra parte, Puel non sente ragioni: «Hatem è venuto qui per essere un giocatore completo – spiega in un’intervista – Non esiste più un giocatore che tocchi il pallone solo in fase offensiva». Lentamente Ben Arfa si adegua e scopre che la disciplina tattica non solo non lo tiene lontano dall’area di rigore, ma addirittura gli apre spazi là dove sembrava non ce ne fossero. I gol arrivano come non succedeva da anni e alla fine sono 17 in 31 partite, quanto basta per far ingolosire il Paris Saint-Germain, che a fine stagione se lo porta a casa a costo zero, visto che il suo contratto con il Nizza durava soltanto un anno.

In estate lascia la Costa Azzurra anche Claude Puel, che per la prima volta nella sua vita professionale abbandona la Francia, per accettare la proposta degli inglesi del Southampton. Anche qui c’è da raccogliere un’eredità importante, quella di Ronald Koeman, che oltre ad aver portato la squadra a ridosso della vetta per almeno due terzi della stagione 2014/15, è anche uno dei figli riconosciuti del calcio totale – per quanto il suo 4-4-2 difficilmente sarebbe piaciuto ai puristi. Lui e Puel si erano incontrati da giocatori, nella doppia sfida della fase a gironi della Champions League 1993/94, che il Barcellona avrebbe poi perso malamente nella sciagurata finale di Atene contro il Milan: 2-0 per i blaugrana al Camp Nou, 1-0 al Louis II. In campo, fra gli altri, c’è il ventitreenne Pep Guardiola.

Corsi diversi della stessa sorgente, i due ex capitani di Barcellona e Monaco si sono ritrovati avversari in un campionato che sa meglio di tutti come si fa pressing, ma che non ha mai davvero conosciuto il calcio totale come collettivo organizzato. In un certo senso, la sfida che devono affrontare è la stessa. Guardiola deve convincere Aguero a dare una mano alla squadra in tutti i momenti della partita. Puel deve scoprire se aveva ragione Pep quando diceva che lo svedese Hojbjerg ha le qualità per giocare come Busquets. Alla fine di una settimana complicatissima per Guardiola, che veniva dallo 0-4 incassato a Barcellona, la riunione di famiglia del calcio totale è finita in parità. Un risultato di prestigio per Puel, che ha visto la sua squadra crescere rispetto a un mese fa, quando solo al 4’ di recupero si era fatta piegare dal successore di Stefan Kovacs sulla panchina del Monaco. Arsène Wenger, per la cronaca.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *