L’eresia inglese/4. La Germania chiama, Townley risponde

Non si sente un profeta né un evangelizzatore, non crede di avere una missione da compiere e nemmeno una vendetta da consumare. Quando sale sulla nave che dall’Inghilterra deve portarlo sul Continente, William Townley vuole soltanto allenare. Ha 42 anni, una luminosa carriera nel Blackburn Rovers alle spalle e un grave infortunio che l’ha costretto a ritirarsi poco più che trentenne. Solo che lui, che pure ha studiato da insegnante e non avrebbe problemi a trovarsi un posto in una rispettabile scuola pubblica, non vuole rinunciare al calcio. Allora rinuncia alla patria, dove il campionato nazionale esiste da quasi trent’anni e la concorrenza per una panchina è serratissima. Siamo nell’autunno del 1908 e calcisticamente l’Europa è per gli inglesi un po’ quello che era l’America per i Padri Pellegrini: una terra dalle risorse ancora inesplorate, dove più o meno tutto è possibile, anche professare apertamente una fede mal tollerata in patria.

Il fatto è che William Towlney sa che l’alta concorrenza non è il solo motivo per cui avrebbe difficoltà a farsi affidare una panchina in Inghilterra, dove pure tutti conoscono bene il suo lussuoso curriculum: sette stagioni nei Rovers, per due volte di seguito vincitore della FA Cup (1890 e 1891), con i suoi 4 gol complessivi il miglior marcatore nella finale di coppa per quasi un secolo (negli anni Ottanta, Ian Rush avrà bisogno di 3 finali per strappargli il record). William Townley sa che difficilmente qualcuno gli lascerebbe allenare il calcio che ha in mente, quello fatto di passaggi anziché di contrasti, grazie al quale la Scozia aveva neutralizzato l’Inghilterra nella prima partita internazionale della storia, giocata quando lui aveva sei anni. In trent’anni, gli scozzesi avevano dato contorni più definiti a quel tipo di gioco – scottish passing game, come da derisoria definizione della stampa inglese – e lo avevano raffinato usando proprio i confronti con i rivali storici come Fblackburn4banco di prova: già prima del volgere del secolo, avevano capito che si attacca meglio con meno attaccanti e così il vecchio centre-forward era diventato centre-half, primo passo di una metamorfosi tattica fondamentale per lo sviluppo del Beautiful game. Sull’Isola, però, il pensiero dominante (dentro e fuori dal campo, come ricostruito da David Winner nel suo “Those Feet”) si concentra in modo quasi ossessivo sull’aspetto della virilità e del carattere, che si traduce in contrasti duri, dribbling e attacco a tutti i costi. Con tutti quei passaggi a frammentare l’assalto verso la porta avversaria, lo stile degli scozzesi è guardato con sospetto, come fosse in qualche modo sleale o – for God’s sake! – effeminato.

È precisamente questo il calcio che Townley ha in mente, mentre guarda allontanarsi le scogliere di Dover. Quanto al Paese che possa accoglierlo, ha le idee piuttosto chiare: nella Germania del Secondo Reich, la “malattia inglese”, come la chiamano sprezzantemente i fedelissimi della ginnastica, si è propagata velocemente e con virulenza, tanto che nel 1903 ha preso il via il primo campionato nazionale. L’aspetto più interessante dei primi decenni del calcio tedesco è la sua inesausta sete di sapere: le regole del gioco sono state tradotte in tedesco dall’insegnante e pioniere Konrad Koch nello stesso 1903, ma rispetto al resto d’Europa il problema della gestione tecnica della squadra viene risolto in modo approssimativo anche dopo l’avvento del campionato. La figura dell’allenatore di fatto non esiste e il suo ruolo viene per lo più affidato al Mannschaftskapitän, sorta di giocatore-allenatore. Un trainer che si occupi delle esercitazioni tecniche e un manager che dia l’impronta tattica alla squadra sono un lusso che nemmeno le squadre più ricche possono permettersi. I tedeschi, però, si rendono conto di essere indietro, così cominciano a usare tutti i canali a loro disposizione per procurarsi dei maestri inglesi che insegnino loro il calcio a un livello più avanzato. E siccome i tedeschi hanno una buona parola per tutto, ne coniano una anche per questa figura – il visiting professor calcistico: Fußballlehrer, letteralmente un maestro di calcio.

D’altra parte, l’idea dell’allenatore-insegnante è talmente radicata nella tradizione calcistica tedesca – i pionieri non sono presidi illuminati come gli inglesi, ma bizzarri maestri elementari – che alla base dell’Extended Talent Programme, il progetto che a partire dal 2002 ha fatto rinascere il movimento, c’è il potenziamento del “corpo docente”, vale a dire del numero degli allenatori impegnati nella formazione dei giovani calciatori. Nel 1908 si accontentavano di molto meno, bastava qualcuno che avesse la pazienza di spiegare le cose che fin lì i tedeschi avevano cercato di carpire per osmosi, fin da quando il genio calcistico di Walther Bensemann – fondatore di Kicker, oltre che di una decina di club, fra cui l’FC Karlsruhe – aveva fatto il colpo di portare per la prima volta in Germania una squadra inglese, invitata in una mini tournée fra Berlino, Praga e Karlsruhe, grazie alla quale i tedeschi avevano imparato la prima lezione dei maestri: tenere la palla a terra.
La lezione arrivata oltre Manica, invece, riguardava proprio i nomi delle città coinvolte nel tour, e infatti la prima tappa del viaggio di (altrui) formazione di William Townley è Praga, capitale della Boemia, allora parte del territorio del Reich. Il calcio aveva già conquistato la città di Kafka, al punto da mandare una delle sue squadre nella prima finale del campionato nazionale, l’FC Praga, la squadra degli ebrei di lingua tedesca. È qui che nell’autunno del 1908 Townley fa il suo debutto da allenatore. Finalmente si gioca il suo gioco – ed è solo l’inizio.

La stagione praghese basta a fargli meritare le attenzioni dell’FC Karlsruhe, per cinque volte di fila campione di Baviera fra il 1901 e il 1905, anno in cui era stato a un passo dal titolo nazionale, perso in finale contro l’1.Union Berlin. Poi un blocco della crescita attribuito all’allenatore, che nel 1909 la società decide di sostituire con William Townley. In Svevia trova quello che per l’epoca è uno squadrone: oltre a Max Breunig (che sarà il primo responsabile della nazionale tedesca), ci sono Fritz Förderer (in campo nella prima partita della Germania, il 5 aprile 1908 contro la Svizzera) e poi il futuro recordman Gottfried Fuchs (autore di 10 gol nel 16-0 rifilato alla Russia ai Giochi del 1912) e il giovanissimo Julius Hirsch, che esordisce appena diciassettenne quando Townley si ritrova senza un’ala sinistra per una partita contro il Friburgo. La stagione 1909/10 entra nella storia del Karlsruhe, visto che si chiude con il primo (e finora unico) titolo nazionale degli svevi, conquistato al termine di una finale infinita contro l’Holstein Kiel, piegato solo ai supplementari. Grazie ai suoi insegnamenti, si forma un’intera generazione di giocatori: «Stoppen, schauen, zuspielen», è il comandamento che non si stanca di ripetere nelle sue sedute di allenamento. Controllare, guardare, passare. No, in Inghilterra non avrebbero capito.

Qualche problema di cassa costringe il club a rinunciare alle sue lezioni nel 1911, ma ormai Townley non corre il rischio di rimanere disoccupato. Anzi. L’8 aprile dello stesso anno il Fürth convoca un’assemblea straordinaria e decide di assumerlo. In Franconia, William trova un’ambiente ancora più avanzato: con i suoi oltre 3000 soci, il Fürth è la squadra che dispone delle strutture più moderne e si avvia a diventare una potenza, quale resterà fino agli anni Trenta. Due mesi dopo il suo arrivo, la squadra esce a testa altissima da un’amichevole con il Newcastle che in altri tempi sarebbe finita niente a tantissimo e che invece ora gli inglesi devono sudare per vincere 2-1.  A dicembre del 1914-finale-fuerth-100-_v-img__16__9__xl_-d31c35f8186ebeb80b0cd843a7c267a0e0c816471913 accetta un impiego al Bayern Monaco, ma solo con l’idea di rientrare a Fürth l’anno seguente, quando – con una squadra piena di campioni, fra i quali il fedelissimo Hirsch – centra il suo secondo titolo nazionale, superando 3-2 il VfB Lipsia grazie a un gol al 153’. Conclusi i festeggiamenti, è pronto a tornare a Monaco – ha un accordo con il Bayern e il suo ambizioso presidente Kurt Landauer – ma i venti di guerra lo convincono a fare ritorno in Inghilterra per evitare l’internamento, cui non sfuggiranno colleghi quali Steve Bloomer e Fred Pentland. Il rientro in patria negli anni della Grande Guerra gli evita anche un altro pericolo, quello della condanna in contumacia per alto tradimento, che la FA pronuncia da subito nei confronti dell’altro grande inglese che sta insegnando all’Europa il suo calcio migliore, Jimmy Hogan.

Quando le armi tacciono cinque anni dopo, i rapporti fra Inghilterra e Germania non potrebbero essere peggiori, eppure per Kurt Landauer vale soltanto una parola, quella data: nel 1919 William Townley si siede sulla panchina del Bayern Monaco e vince il primo william-townley-100-_v-img__3__4__m_-f5b946176ecf9749b4c4b7e228bd704e8144111btitolo bavarese della sua storia. Nel 1920 tiene una specie di masterclass estivo per gli svizzeri del San Gallo, che un bravo allenatore inglese lo hanno perso da poco: si chiama Jack Reynolds e sta facendo l’Ajax grande prima del grande Ajax. L’incrocio con l’Olanda, però, non si ferma qui per Townley, che nel 1924 ai Giochi di Parigi è alla guida dei Tulipani, eliminati solo in semifinale dal super Uruguay di Andrade. Stoppen, schauen, zuspielen. Nel 1926 il comandamento torna a risuonare sui campi dell’amato Fürth, con il quale vince nuovamente il campionato nazionale, stavolta nei tempi regolamentari, travolgendo 4-1 l’Hertha Berlino.

La prima vera delusione arriva all’FSV Francoforte, perché la squadra, che viene da uno stile inglese ortodosso, non riesce ad adattarsi al suo gioco di combinazioni e resta tagliata fuori dalla corsa al titolo. In compenso, nel 1929 arriva l’attestazione che il suo lavoro è riuscito: quando il Fürth si laurea ancora campione di Germania – ancora contro l’Hertha – Kicker scrive che “il segreto è e resta l’eredità del geniale inglese William Townley; il sistema del Fürth è sempre la meravigliosa creazione dell’ex Rovers, che ha talmente impresso nella squadra la bellezza dell’arte calcistica, che questa sul terreno fertile di Fürth non è stata ancora disimparata”.
William Townley smetterà di allenare nel 1933, a 67 anni. L a Germania, invece, non smetterà mai di considerarlo il suo maestro.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *