La notizia dell’estate 1985 non è che Cruijff è tornato all’Ajax dopo lo schiaffo di giocare la sua ultima stagione da calciatore con i rivali del Feyenoord. Non è nemmeno che per sedersi in panchina da allenatore dovrà aspettare i tempi e i documenti della Federazione. No. La notizia dell’estate 1985 è che per la prima volta Johan ammette che c’è una cosa che è disposto a lasciar fare a qualcun altro. «Per un allenatore di una squadra di vertice è impossibile essere esperto in tutto. L’arte sta nello scegliere una squadra con i migliori specialisti nei campi in cui si hanno meno conoscenze». Chi lo conosce fatica a crederci, eppure è esattamente quello che il nuovo tecnico dell’Ajax fa: per prima cosa, ha bisogno di un preparatore dei portieri.
Non che a Cruijff manchino competenze in materia. Tornato al De Meer nel 1980, per un anno aveva fatto il consulente tecnico della squadra allora allenata da Leo Beenhakker – non esattamente il suo migliore amico – interpretando il ruolo con una certa creatività. Nei 12 mesi scarsi intercorsi fra l’investitura come assistente e il ritorno in campo da giocatore, Johan aveva messo il naso praticamente dappertutto, ma si era appassionato in modo particolare al caso Shrijvers. Lo storico portiere dell’Ajax, che ai Mondiali del ’74 si era visto preferire il più anziano Jongbloed (peraltro dietro suggerimento dello stesso Cruijff), ha sfondato il muro del quintale ed è ora oggetto dell’ironia dei tifosi, che lo hanno ribattezzato “De beer van de meer”, l’orso del De Meer. Johan decide di aiutarlo facendo quello che gli viene meglio: la rivoluzione. «Ho detto a Piet: noi all’Ajax giochiamo un calcio offensivo, perciò tu non puoi startene sulla linea di porta, ma devi venire avanti sui sedici metri e da lì dare indicazioni agli altri giocatori. Se giochi al servizio della squadra, non fa niente se ogni tanto ti lasci scappare una palla alta». Neanche a dirlo, funziona e Shrijvers resta a difendere i pali dell’Ajax fino al 1983.
Nonostante il successo di questa esperienza da preparatore dei portieri, quando diventa capo allenatore Cruijff cerca immediatamente qualcuno che ne sappia più di lui in materia. Lo trova in Frans Hoek, che ha appena chiuso una più che onorevole carriera in Eredivisie e condivide con Johan l’idea che per giocare un calcio offensivo, c’è bisogno di cominciare a costruire l’attacco partendo dal portiere, non dal libero. Ed è forse anche merito di Hoek se questo concetto passa da Cruijff a Van Gaal, con cui Frans collabora per quasi vent’anni. I suoi consigli si dimostrano tutti giusti: prima quello di affidare la porta dell’Ajax al ventiduenne Edwin van der Sar, poi – nonostante il parere contrario di stampa e dirigenza – di lasciare i pali del Barcellona al ventenne Victor Valdes, che di lì a qualche anno sarà il numero uno della squadra da sogno di Guardiola.
Quando Van Gaal approda al Bayern Monaco, Hoek è pronto a sfidare la scuola tedesca del “portiere di reazione” impersonata da Oliver Kahn con la sua idea del “portiere di anticipo”. Lo fa scegliendosi un allievo: Thomas Kraft – “forza” in tedesco -, non ancora ventiduenne considerato il più promettente della sua generazione. Dopo un paio di mesi di allenamenti con lui, il ragazzo è pronto per fare il titolare, Van Gaal si fida e a Natale il posto è suo. È lo stesso Hoek a comunicargli che l’allenatore lo aspetta per un colloqui a quattr’occhi: «Pensavo mi dovesse dire cosa sbagliavo, invece la prima cosa che mi ha detto è stata “congratulazioni per il numero uno”». Sarebbe perfetto, non fosse che sulla Säbener Straße hanno idee diverse: la società sta facendo una corte tutt’altro che velata a Manuel Neuer – “nuovo” in tedesco -, il ventiquattrenne portiere dello Schalke spuntato dal nulla solo un paio di stagioni prima e arrivato a difendere la porta della Germania ai Mondiali sudafricani dopo un anno di prodezze e tragedie. Il bello è che Neuer ha tutte le caratteristiche del portiere immaginato da Cruijff e Hoek: gioca lontano dalla porta, chiama la giocata ai compagni, spesso va a cercare l’anticipo con uscite che rasentano l’incoscienza. “Il portiere più forte del mondo”, dicono i giornali ormai da qualche mese e in Inghilterra pare siano disposti a svenarsi per convincere Felix Magath a lasciarlo partire. Solo Frans Hoek ha qualche perplessità e la dice apertamente a Van Gaal: noi un portiere così ce l’abbiamo già, è Kraft.
A primavera il giovane Thomas, ormai titolare e amatissimo dai suoi tifosi, comincia a capire che ogni settimana gioca due partite, quella in campo e quella a distanza con Neuer. «Se arriva lui, vado via io», ammette. Il Bayern ci pensa e ascolta consigli. Quello del suo preparatore dei portieri è chiaro e non cambia neanche al termine di una stagione stellare per Neuer: a Monaco quel tipo di portiere ce l’hanno già, ed è anche due anni più giovane. Non la pensa così il monumento nazionale Oliver Kahn, che dai salotti televisivi osserva che «il Bayern ha bisogno del portiere della nazionale, dunque deve prendere Neuer». Così, nell’estate 2011, l’uomo che era riuscito a farsi ascoltare da Cruijff vede per la prima volta il suo consiglio cadere nel vuoto. Il Bayern sceglie Neuer – che sarà accolto dai tifosi a colpi di banane, ma questa è un’altra storia – e a Kraft non resta che fare le valigie e andarsene a Berlino, dove ancora oggi difende i pali dell’Hertha, nonostante qualche infortunio gli abbia frenato la promettente carriera. Non gli è bastato chiamarsi Forza per opporsi al Nuovo.
Quanto a Hoek, ha seguito ancora Van Gaal al Manchester United, dove ha trasformato David De Gea nel portiere più desiderato dell’estate 2015. Un anno dopo, si è separato dal suo storico capo allenatore per andare a lavorare con un suo allievo, Danny Blind, capitano di quel fantastico Ajax arrivato a sedersi su una panchina della nazionale particolarmente scomoda. Non ha fatto in tempo ad allenare Neuer, che pure ha anticipato di quasi trent’anni nel concetto di “portiere offensivo”. Ma forse non è un gran rimpianto: fondamentalmente, per lui era meglio allenare Kraft.