Uno spettro si aggira per l’Europa nella primavera del 1937, ma non quello che intendeva Karl Marx. Porta il nome di un Paese in esilio e l’arma della sua propaganda è il calcio. Quando raggiunge l’Unione Sovietica, la cambia per sempre, ponendo le basi per l’avanguardia russa del calcio totale che, protetta dalla cortina di ferro, arriverà per prima su molte idee, anche se in Occidente nessuno lo saprà. Questa è la storia del decisivo contatto fra Inghilterra e Unione Sovietica attraverso la sublime mediazione dei Paesi Baschi.
Da poco più di 8 mesi, in Spagna è cominciata la prova generale della Seconda Guerra Mondiale. Il 24 aprile 1937 parte da Bilbao la tournée della nazionale basca – Euskadi – diretta in Europa per una serie di amichevoli, pensate come doppiamente benefiche: da un lato l’incasso sarà devoluto alle famiglie delle vittime della guerra civile, dall’altro la pubblicità di cui la squadra godrà sarà un mezzo per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che sta succedendo in Spagna. Del gruppo fanno parte nove giocatori del grande Athletic di Fred Pentland, che negli anni Trenta domina in patria introducendo nuovi metodi di allenamento e soprattutto nuove idee di gioco: il portiere Gregorio Blasco, la colonna della difesa Roberto Etxebarria, Jose Mugerza, il genio tattico Leonardo Zilarrauen e poi Angel Zubieta, “Txirri II” (uno dei primi trequartisti del calcio spagnolo), più gli attaccanti della delantera histórica del Bilbao, Guillermo Gorostiza e Jose Iraragorri. A loro si aggiunge Pedro “Periko” Biritxinaga, il massaggiatore che ha vissuto ascesa e apoteosi dell’Athletic quasi fin dalla nascita del club. La prima tappa del tour – un’avventura sulle due sponde dell’Atlantico, raccontata nel bel libro di Edoardo Molinelli “Euzkadi – La nazionale della libertà” – è Parigi, dove i baschi strappano applausi battendo 3-0 il Racing. L’entusiasmo dura poco, perché poco dopo il fischio finale i giocatori vengono raggiunti dalla notizia del bombardamento della cittadina di Gernika, antica capitale della Bizkaia, a opera della legione Condor, formata da volontari della Luftwaffe con il supporto dell’aviazione legionaria italiana.
Quando Euzkadi arriva in Unione Sovietica, il 15 giugno seguente, scopre di essere stata preceduta dalla sua stessa fama: alla stazione Belorusskij di Mosca l’accoglienza è quella che si riserva agli eroi. D’altra parte, i baschi vengono visti come compagni in lotta contro le forze fasciste e reazionarie e l’URSS offre loro tutto l’aiuto possibile, a cominciare dalle spese di viaggio, che vengono completamente abbonate alla nazionale ospite, alloggiata nell’Hotel Metropol, gioiello dell’architettura art nouveau non lontano dal Teatro Bolshoi. Le autorità sovietiche danno inoltre una considerevole dimostrazione di accoglienza concedendo alla delegazione di assistere alla messa, che viene celebrata nell’ambasciata di Finlandia a Mosca. Il programma del tour prevede, oltre a quella nella capitale, tappe a Leningrado, Kiev, Tbilisi e Minsk, dove Euzkadi affronterà le principali squadre locali. Cinque settimane che a livello umano lasceranno una traccia indelebile in tutti i membri della spedizione basca. Cinque settimane che indicheranno al calcio sovietico una strada che nei decenni seguenti percorrerà in modo autonomo e originalissimo.
La prima partita in calendario è contro il Lokomotiv Mosca, detentore della coppa nazionale. La sera prima dell’incontro, le due squadre cenano insieme, un giocatore di Euzkadi seduto accanto a uno del Lokomotiv. Quale non è la sorpresa dei baschi quando scoprono che a tavola manca il vino, prontamente richiesto all’interprete. Ancora maggiore è però la sorpresa dei moscoviti, che non bevono mai prima delle partite e adesso vedono questi colleghi spagnoli brindare a vino tinto alla salute della patria basca. È in questo clima di amicizia e allegria che Euzkadi riceve la peggiore delle notizie: il 19 giugno 1937 Bilbao è caduta, tradita da uno dei capi della resistenza. Con centinaia di persone in fuga verso il confine francese, la missione della selezione basca è più importante che mai. Ci sono oltre 90.000 persone allo Stadion Dinamo per assistere al 5-1 con cui Euzkadi liquida il Lokomotiv, che al primo incontro internazionale della sua storia viene schierato dall’allenatore francese Jules Limbeck con il 2-3-5, la vecchia piramide che in Europa è stata messa da parte ormai da quasi vent’anni, ma che in URSS è ancora la regola, visto che gli scambi culturali sono merce rara e anche la modifica della regola del fuorigioco nel 1925 non ha prodotto il ripensamento tattico che in Occidente ha portato all’affermarsi del WM di Herbert Chapman.
Tre giorni più tardi nello stesso stadio, si replica contro la Dinamo, vincitrice del campionato primaverile del 1936, che riesce a contenere il passivo a 1-2. Quindi la partenza per Leningrado, dove una selezione delle squadre cittadine riesce a fermare i maestri sul 2-2. Il pari viene celebrato come un successo dalla stampa, ma non dalle autorità sovietiche, che a questo punto esigono almeno una vittoria. Così convincono Euzkadi a tornare a Mosca per giocare altre due partite: la prima è una vittoria facile (7-4) contro una Dinamo integrata da giocatori provenienti da altre squadre ed è anche la miglior prestazione dei baschi nella tappa russa del tour, la seconda è la gara contro lo Spartak che segnerà una svolta definitiva per il calcio sovietico. A capo del comitato tecnico che allena la squadra vincitrice del primo torneo nazionale (disputato proprio nel 1936) c’è Kvashnin, ma la voce più influente è quella di Nikolaji Starostin. È lui a scegliere i giocatori che vanno a rinforzare la formazione base: Viktor Shylovskyi della Dinamo Kiev e soprattutto Konstantyn Shchehotskyi, protagonista assoluto con una selezione di Kiev in una rara amichevole contro il Red Star Olympic disputata a Parigi nel 1935. Starostin, che oltre alle precedenti partite di Euzkadi è andato a guardarsi anche tutti gli allenamenti, capisce che la chiave della partita è togliere spazio al centravanti Isidro Lángara, ma che per farlo c’è bisogno di aggiungere un giocatore alla linea di difesa, togliendolo dal centrocampo: un po’ in ritardo, ma è lo stesso ragionamento che aveva portato alla trasformazione del centre-half in third back. Un esperimento che in realtà Starostin aveva già tentato qualche anno prima in occasione di un tour in Norvegia, benché solo per far fronte all’emergenza infortuni. Siccome, però, i risultati erano stati tutt’altro che incoraggianti, l’idea era stata accantonata, tanto più che per realizzarla bisognava convincere il centre-half di ruolo, che si chiama Andreji ed è il fratello minore di Starostin: «Mi stai togliendo lo spazio per respirare – protesta quando Nikolaji gli comunica la variazione tattica – Chi aiuterà l’attacco?»
Il cambio di sistema è un grosso rischio e Starostin lo sa. A ricordarglielo c’è anche il governo, che manda il capo del Comitato di educazione fisica Ivan Karchenko e il potente capo del Comsomol Aleksandr Kosarev a dormire nel ritiro dello Spartak a Tarasovka la sera prima della partita. La serata della sfida comincia male per i russi, che prima devono improvvisarsi meccanici per cambiare una gomma a una delle auto che li porta allo stadio, quindi restano bloccati nel traffico e sono costretti a cambiarsi all’interno delle auto stesse (che peraltro hanno tutte il tetto scoperto). La tribuna d’onore si aspetta un solo risultato, ma chi prende maggiormente sul serio il diktat è l’arbitro della gara, che dirige così spudoratamente a favore dei padroni di casa che al 57’, quando allo Spartak viene assegnato un rigore inesistente sul punteggio di 2-2, i baschi abbandonano il campo per protesta e si rifiutano di rientrare. Ci vogliono 40 minuti di serrate trattative condotte dal Presidente del consiglio dei commissari del popolo – Vjacheslav Molotov in persona – per far riprendere la partita. Il risultato finale è un 6-2 per lo Spartak che sa di benedizione per l’azzardo di Nikolaji Starostin. Al di là dell’arbitraggio, il confronto con i baschi ha mostrato le possibilità implicite in un sistema di gioco che, detto in termini moderni, trasforma il regista di centrocampo in regista difensivo. Sarà questa la lezione fondamentale dalla quale il calcio sovietico muoverà nel suo personalissimo sviluppo, a cominciare dal suo primo grande teorico, Boris Arkadiev, che riuscirà di fatto ad aggirare l’ingorgo tattico seguito alla canonizzazione del WM in cui per decenni avrebbe stagnato il calcio inglese, ma anche la tentazione ultradifensiva del Metodo così diffusa in Italia, in favore di uno stile basato sì sul WW, ma già anticipatore di idee che in Occidente prenderanno piede solo a partire dagli anni Sessanta.
Intanto, Euzkadi si sposta a Kiev per allargare la lezione anche alla Dinamo, battuta 2-1. Nella squadra ucraina giocano, fra l’altro, Trusevich, Kuzmenko, Timofeev, Goncharenko e Komarov: i 5 saranno compagni di squadra anche il 9 agosto 1942, in quella che è passata alla storia come “la partita della morte”, in cui lo Start, formato da giocatori della Dinamo e della Lokomotiv Kiev rischiano la vita battendo 5-3 il Flakelf tedesco durante l’occupazione nazista dell’Ucraina. Completa la tournée la tappa in Georgia, patria di Stalin, dove i baschi vengono accolti come autentici fratelli, per poi battere 2-0 la Dinamo Tbilisi.
La sintesi dell’esperienza che il viaggio di Euzkadi rappresenta per l’Unione Sovietica viene espressa con estrema franchezza dalla Pravda: “Le perfezioni dei baschi hanno dimostrato che le nostre migliori squadre sono ben lontane dall’alta qualità. Dipendiamo dagli incontri con gli stranieri. Le partite contro Euzkadi ci hanno fatto bene, innanzitutto per i fondamentali: passaggi lunghi, gioco sulle fasce, tecnica nel colpo di testa”. D’altronde, “Back to basics, lads” era stata la parola d’ordine di Fred Pentland al momento di dirigere il suo primo allenamento all’Athletic, e allora è un po’ come se la sua bombetta fosse arrivata fino alla Piazza Rossa.