L’aeroporto di Croydon ha smesso i panni di base della RAF da poco più di sei mesi, quando, il 4 novembre 1945, sulle sue piste atterrano due Douglas DC-3 Dakotas. Hanno le stelle rosse dipinte sui fianchi e a bordo il meglio del proletariato calcistico. Perfino il cielo pare aver capito che la giornata è di quelle storiche, e infatti un pallido sole si affaccia ad accogliere la prima visita di una squadra di calcio dell’Unione Sovietica in terra britannica. Sulla pista, il presidente della FA Stanley Rous attende lo sbarco degli ospiti provenienti da Mosca, insieme a una nutrita delegazione di funzionari dell’ambasciata in cappotto blu su cui spiccano falce e martello. Dagli aerei scendono 37 uomini e una donna, indosso il medesimo cappotto blu. A guidarli è Mikhail Yakushin, Maestro Emerito di Sport dell’URSS e ora capo allenatore della Dinamo Mosca, il club presieduto da Lavrentiy Beria, capo della polizia segreta. Prima della partenza per l’Occidente, squadra e staff tecnico sono stati ricevuti da Stalin in persona, che li ha invitati a non lasciarsi battere dalle “squadre del capitalismo borghese”.
La Dinamo che sbarca a Croydon non è lo squadrone che ha vinto due campionati di seguito nel 1941 e nel ’45 (il calcio in Russia si è fermato dal 1942 al ’44, con l’eccezione dell’incredibile partita giocata nel maggio ’42 nella Leningrado assediata), però Beria è riuscito ad aggregare alla comitiva il capocannoniere dell’ultimo campionato Vsevolod Bovrov, che gioca nel CSKA Mosca, e due giocatori della Dinamo Leningrado. “Un semplice insieme di onesti amatori”, definisce il Sunday Express i giocatori sovietici, di cui del resto in Inghilterra si sa pochissimo. La FA considera un eccezionale successo diplomatico essere riuscita a organizzare il tour inglese dei moscoviti – il programma prevede due amichevoli a Londra, una a Cardiff, una a Glasgow e un’ultima a Birmingham –, pianificato appena qualche mese dopo la fine della guerra, con lo scopo di destinare l’incasso degli incontri in beneficenza e celebrare il ritorno del calcio sul suolo inglese, dopo ben sei anni di sospensione per cause belliche. Ma in una Londra che porta ancora vasti segni dei bombardamenti, è un mezzo miracolo anche solo riuscire a trovare un alloggio adeguato per gli ospiti. Squadra e staff vengono inizialmente condotti alla caserma della Royal Horse Guard, a Whitehall. Quando, però, scoprono che nelle stanze loro destinate ci sono solo letti senza lenzuola né cuscini, si rifiutano di restare. Non appena si sparge la voce della figuraccia della FA, molti londinesi inviano lettere all’ambasciata sovietica offrendosi di ospitare i giocatori a casa loro. Alla fine l’incidente si risolve accompagnando l’intera delegazione – squadra, staff, interprete e radiocronista – all’Imperial Hotel di Russell Square, a Bloomsbury. Spiazzati dall’atteggiamento timido dei sovietici, i giornali li ribattezzano “The Silent Ones”. D’altra parte, gli unici termini inglesi che conoscono sono quelli del gergo calcistico – dicono offside e corner, osserva un servizio della British Pathé.
Il primo impegno è fissato per martedì 13 novembre 1945 a Stamford Bridge contro i padroni di casa del Chelsea. Per prepararsi alla gara, la Dinamo si è allenata in un impianto che ospita le corse di cani, ma tutti sono rimasti impressionati dalle condizioni dell’erba e degli spogliatoi. Gli 85.000 spettatori che riempiono lo stadio fino ai bordi del terreno di gioco rimangono interdetti quando, circa quindici minuti prima del fischio d’inizio, vedono scendere in campo la squadra ospite. Bobrov e compagni si producono in una serie di esercizi, scatti e palleggi. È l’autunno del 1945 e nessuno a Londra ha mai visto una squadra di calcio fare un riscaldamento prima della partita. In Unione Sovietica, dove il calcio è compreso nel più ampio concetto di attività sportiva, è normale scaldarsi i muscoli. Guidati dal capitano, il centre-back Mikhail Semichastny, i giocatori della Dinamo Mosca offrono mazzi di fiori ai loro avversari al momento dello scambio dei saluti. Lo schieramento tattico scelto da Yakushin è lo stesso degli inglesi – il WM di scuola Chapman. I russi sembrano inizialmente accusare l’atmosfera caldissima di Stamford Bridge, tanto che il Chelsea si porta comodamente sul 3-0 grazie alle reti di Goulden, Williams e Lawton, e solo i riflessi del portiere moscovita Alekseij Khomich, detto “La Tigre”, impediscono ai Blues di dilagare. Dopo l’intervallo, però, scende in campo un’altra Dinamo. Ora i moscoviti incantano il pubblico londinese con una fitta rete di passaggi che ricorda un po’ la scuola scozzese, salvo che qui – notano immediatamente gli spettatori – vige un livello di organizzazione mai visto su un campo di calcio. “Si scambiano le posizioni, con l’outside-left che va al posto del right-wing e viceversa”, scrive l’ex capitano dei Rangers Davie Meiklejohn sul Daily Record. “Non ho mai visto il calcio giocato in questo modo. Era un puzzle cinese provare a seguire i giocatori nelle loro posizioni, così come erano indicate nel programma. Si muovevano semplicemente qua e là a loro piacimento, ma il tratto più rimarchevole di tutto questo era che non andavano mai l’uno nella direzione dell’altro.” Lo spettro del gioco posizionale si aggira per l’Europa.
Naturalmente questo “wandered here and there” è tutt’altro che “at will”.I principi di questo modo di giocare mai visto, in Russia sono diffusi da quasi dieci anni: li ha spiegati Boris Arkadiev, il cui manuale “Tactics of football” del 1946 costituirà il testo sacro degli allenatori dell’Europa orientale per decenni. Sua è l’idea del sistematico scambio di posizioni in attacco, così come quella di introdurre una variazione alla classica linea a cinque degli avanti: non solo, come nota Meiklejohn, le due ali si scambiano il posto, ma lo fanno anche i due interni, mentre il centre-forward arretra verso il centrocampo e spalanca l’abisso fatale per la difesa avversaria. Nessuna delle due idee è completamente nuova: la rotazione degli attaccanti si era vista già con l’Austria Vienna dei primi anni Trenta, e forse non a caso anche lì era abbinata a un centravanti mobile con tendenza ad arretrare come Matthias Sindelar. Il contributo di Arkadiev, allenatore della Dinamo Mosca dal 1940 al 1944, è la sistematizzazione di queste idee. Il suo successore Yakushin dimostra di aver appreso in pieno tanto la lezione del suo maestro, tanto quella di Euzkadi, la nazionale basca che con il suo tour del 1937 aveva segnato un momento decisivo per lo sviluppo del calcio sovietico. Anche i baschi giocavano con una linea di avanti estremamente mobile e in più privilegiavano il fraseggio. Yakushin era in campo il 27 giugno 1937, quando la Dinamo Mosca aveva affrontato Euskadi, e aveva sperimentato direttamente quale scompiglio nella difesa può creare la perdita del punto di riferimento dato dagli attaccanti avversari. Il non sapere più dove sta chi. Il non poter prevedere da quale parte arriveranno. È il caos – ma un caos organizzato, per dirla con la felice definizione del gioco sovietico data dai giornali britannici dopo l’exploit moscovita a Londra.
A Stamford Bridge, infatti, succede l’impensato. Una Dinamo che sembrava finita, nella ripresa comincia a fare il suo gioco: il centravanti Konstantin Beskov si tuffa all’indietro portando con sé il centrale inglese Harris, cosicché gli attaccanti russi si trovano in schiacciante superiorità numerica sulla difesa del Chelsea. Le ali Kartsev e Archangelski accorciano le distanze, il numero dieci Bobrov firma il definitivo 3-3. Quando l’arbitro Clark fischia la fine, centinaia di spettatori invadono il campo per portare in trionfo i giocatori della Dinamo. «The best side I have ever played against», commenta il capitano del Chelsea John Harris. La notizia dello show sovietico attraversa in fretta la Manica e già il 14 novembre, il giorno dopo la partita, il capo delle FIFA Jules Rimet incontra i dirigenti del calcio sovietico a Parigi per invitare l’URSS a unirsi alla Federazione Internazionale. E dire che lo spettacolo russo in Inghilterra è appena cominciato. (1/continua)