Ha esordito nella Roma con il 94, in Primavera si teneva stretto l’8, nelle nazionali giovanili gli davano spesso il 10, ma è con il 7 che è si è fatto le ossa in Serie B. Valerio Verre ha avuto bisogno di tanta strada e tanti numeri per trovare il buio in cui brillare. In giorni in cui per fare i complimenti al Verona di Ivan Juric si dice che gioca come l’Atalanta – a proposito, non è vero – nessuno parla di chi quel gioco riesce a illuminarlo al punto che gli basta anche subentrare dalla panchina per far girare le partite. Lo sa bene la Juventus, che guarda caso si è vista strappare la gara dalle mani a partire dal momento in cui Juric ha buttato dentro Verre al posto di Miguel Veloso e improvvisamente la rapidità di pensiero in mezzo al campo ha subito un’accelerata cui nemmeno il pur dinamico Bentancur è riuscito a tenere dietro. Che poi a guardare bene era già successo in Verona-Torino, da 0-3 a 3-3 nei 45’ in cui è stato in campo, un gol e il passaggio che avvia l’azione di un secondo. Fosse nato in Olanda, probabilmente Verre avrebbe esordito in Eredivisie a sedici anni e in Nazionale a venti. Invece a ventisei sta sperimentando per la prima volta com’è prendersi delle responsabilità in una squadra di Serie A che non era previsto si arrampicasse così in alto in classifica. Non che con le responsabilità abbia mai avuto problemi, anzi. Il problema è stato trovare qualcuno che fosse disposto a dargliene qualcuna.
Si sbaglia chi dice che Valerio Verre era una promessa che si era persa. Perché Valerio Verre una promessa non lo è mai stata. Quando giocava con i pari età del ’94 lo chiamavano il marziano, quando hanno cominciato a farlo salire sotto età con i ’93 – che alla Roma erano considerati una generazione di fenomeni e tutto sommato con ragione, visto che quattro di loro oggi giocano in Serie A e un quinto in Serie B – nessuno notava la differenza. Capitano dell’Under 16, ha poi dovuto lasciare la fascia solo perché nelle selezioni successive era il più piccolo di tutti. Uno di quelli di cui gli allenatori non hanno mai dovuto preoccuparsi. Uno di quelli che non si sono mai vergognati della gentilezza. Uno che dopo un rigore sbagliato giocava ancora meglio. Lucido, pulito, elegante. A diciotto anni è un giocatore completo, altro che promessa. Quando Luis Enrique lo fa esordire in prima squadra in una delle peggiori serate della Roma recente (agosto 2011, preliminari di Europa League contro lo Slovan Bratislava all’Olimpico), lui non riesce a essere felice. La Roma ha perso, quale brindisi? In fondo alla maglia puoi essere attaccato pur avendola indossata da professionista una e una sola volta. Con il 94 sulle spalle e la testa sempre alta perché è solo così che sai giocare. Per la Roma era notte fonda, forse anche troppo perché per Verre ci fosse il buio giusto.
Fosse nato in Olanda, nessuno ne avrebbe fatto una questione di fisico. Un metro e ottanta, spalle da studente, un bel baricentro – Frenkie de Jong ha un fisico così. Solo che in Italia la storia della tecnica al primo posto è poco più che marketing e allora Verre nella sua prima stagione da professionista (in Serie B con il Siena penalizzato di 6 punti) raccoglie 137 minuti con Serse Cosmi nelle prime 17 giornate e addirittura 20 con Beppe Iachini nelle successive 17 – e sembra una maledizione quando l’anno successivo lui gioca nel Palermo e proprio Iachini viene scelto per sostituire l’esonerato Gattuso. In Serie A ci torna sull’onda della promozione con il Pescara, poi la squadra retrocede ma lui mantiene la categoria passando alla Sampdoria, dove però Marco Giampaolo non lo vede granché. Nell’estate 2018 torna a Perugia, che con Alessandro Nesta in panchina si arrende solo nel primo turno dei playoff. Contro il Verona, che poi quei playoff li vincerà e andrà in Serie A. Ha dato tutto, Verre, quando si toglie la maglia numero 5. E l’hanno visto tutti, perché Nesta in campionato ha rinunciato a lui solo una volta e solo per via di una squalifica. A centrocampo gli ha fatto fare un po’ tutto, la mezzala, il trequartista, l’interno ma soprattutto il regista, tanto di lui non doveva preoccuparsi, solo godersi il buio che accendeva.
Perché gli dessero un buio più grande da illuminare, Verre non ha dovuto aspettare di maturare, dato che calcisticamente acerbo non è mai stato. Forse ha dovuto aspettare che fossero gli altri a crescere. Di certo ha avuto pazienza. E adesso che gira le partite anche partendo dalla panchina, che fa il suo gioco anche quando viene schierato centravanti, adesso che ha segnato il suo primo gol in Serie A e anche il secondo e il terzo, ecco adesso c’è una cosa più bella di qualsiasi senso di rivalsa, del tono sorpreso di chi pure dice di conoscerlo da sempre. Una cosa che squarcia il buio gialla e sfrontata. La maglia che porta. La numero 14.